di discipline e facoltà universitarie

22/07/07

Quanto scrivo risente dell'influenza di un testo che VERAMENTE consiglio a tutti: la testa ben fatta di Edgar Morin, un testo da leggere, meditare e condividere nel profondo del proprio pensiero perché, probabilmente, è un crocevia fondamentale del pensiero contemporaneo. Si badi bene cheè un testo divulgativo per cui accessibile a tutti, non c'è bisogno di essere filosofi.

Partiamo dal concetto di disciplina che è un concetto culturale. Una disciplina serve affinché una comunità scientifica si riconosca come tale condividendo metodologie ed oggetti di studio. Il riconoscersi come comunità è fondamentale al fine di poter avere uno scambio di conoscenze e far così progredire la cultura in quel campo.

Le Facoltà universitarie sono l'istituzionalizzazione di quelle discipline con un obiettivo fondamentale: nelle Facoltà c'è un passaggio culturale enorme perché si decide cosa i futuri membri di quella comunità dovranno sapere per farne parte. Quali sono i requisiti minimi per appartenere a quella comunità scientifico-professionale.

Detto questo, i processi educativi vanno avanti su orizzonti generazionali, molto più lunghi di dinamiche di mercato e spesso legati a traiettorie personali-generazionali. Le Facoltà, come in genere la Scuola (anche se in questo caso con alcune opportune differenze), sono il luogo di trasmissione disciplinare.

Come Morin dice, le Facoltà sono state definite nell'ottocento e da allora molto poco modificate. Si sono mantenute in vita attraversando due secoli di storia culturale abbastanza intensa. Alcune Facoltà ne hanno generate altre per gemmazione o per espulsione (si pensi alla Psicologia).
Seguendo il suo pensiero, mi sono convinto della necessità di adeguare gli assetti delle facoltà a nuove e più adeguate organizzazioni disciplinari perché il pensiero si è evoluto molto di più di quanto non abbiano fatto le istituzioni universitarie.

Ho sotto mano il caso dei Politecnici e devo dire che quello di Torino ha avuto il coraggio di attuare una modifica in questo senso attraverso una significativa revisione dello Statuto. Il Politecnico nasce come Università di Ingegneria (storicamente bistrattata dalle Università) sul modello francese a cui però, per merito di Brioschi e Boito, venne aggiunta l'Architettura (cosa che in Francia non avvenne), mentre fallì l'accordo Brioschi-Bocconi per inserirvi l'Economia (NB la Bocconi è stata la prima Università di Economia della storia, manco Adam Smith, Rettore di Edimburgo, istituì mai manco una cattedra di economia).
Credo che quella dicotomia culturale Ingegneria-Architettura possa essere rimessa in discussione, profondamente, alla luce dell'evoluzione culturale di cui lo stesso Politecnico milanese è stato protagonista.
Si può già provare ad identificare delle macro-aree da cui potrebbero dipendere le Facoltà, per esempio l'area delle Costruzioni (dove Architettura, Ingegneria civile ed Edilizia possano ritrovare una saggia ri-composizione culturale); l'area del Management (ing. gestionale, ma anche ampie parti del Design come moda, prodotto e servizi); l'area delle Politiche Pubbliche (dalla protezione civile ed ambientale, al planning, scienze delle PA, eccetera), fino a discipline più consolidate come Elettronica e tecnologie dell'informazione e dell'informatica e così via. So di non aver ricompreso tutte le discipline (un'altra area potrebbe essere quella della chimica, materiali e bioingegneria).

Sottopongo questo problema per ragioni culturali. Trovo risibile utilizzare oggi vecchie etichette logore e ormai poco definite di fronte a sfide di maggior interesse. Qualcuno mi accuserà di voler giustificare il mio essere a cavallo di Facoltà, rendendomi un ibrido a-disciplinare: per usare un francesismo "j'ai rien à branler" (+- in italiano, m'importa 'na sega!).

La questione è, invece, assai importante perché implica le modalità con cui si trasmette il sapere di generazione in generazione, implica la riconoscibilità di comunità scientifico-professionali. Bisognerebbe assumere un'ottica maggiormente costruttivista e meno strutturalista per capire che le discipline si determinano dalle pratiche, non dalle etichette.
Credo che alcune etichette siano menzognere, indichino approcci opportunistici che sfruttano il sedimentarsi di processi socio-culturali nella formazione universitaria, quando sarebbe maggiormente virtuoso per quelle stesse persone riconoscersi in discipline nuove, più consone alla realtà. Ovviamente il discorso non è valido solo per il Politecnico.

Per il resto, come già più volte detto, chiudo con un "tant'è..."

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