Lo dirò in prosa, per non elevare questo sentimento a poesia.

13/04/08

Leggendo di Danilo Dolci, mi rendo conto di una grande tristezza che sento aleggiare tra i miei coetanei che condividono questo bellissimo paese chiamato Italia. Ormai, ci si rende conto che non si ambisce ad un futuro migliore, siamo la prima generazione che ambisce ad un futuro, uno qualsiasi. E già questo è Avanguardia, sovversione, già questo è Rivoluzione. Non accontentarsi, impostare un progetto che vada oltre il sabato sera, la disco, lo stare con qualche d'una a consolarsi. Lo dico con rassegnazione, preoccupazione, mestizia. Lo dirò in prosa, per non elevare questo sentimento a poesia. Lo diceva Brecht: "il futuro non è più quello di una volta". Lo dicono i socio-economisti: siamo la prima generazione che, dopo quattro secoli, rischia veramente di stare peggio di quella che l'ha preceduta: è dal '600 che questa cosa non si rischiava più. In Italia, in Europa.

Non mi riferisco tanto alle elezioni politiche in corso, è un sentimento che pervade il BelPaese, come a me piace ancora chiamarlo. Il futuro migliore, se c'è, è altrove. Lo dirò in prosa, per non elevare questo sentimento a poesia. Qui, tra la Madonnina, il Colosseo ed il Vesuvio basta sognare un futuro. Quell'immagine collettiva sul Sud italiano lascivo e arrancante, si sta diffondendo desertificando le oniriche aspettative anche del Nord, strette dal clima decadente dell'Europa, una silente decadenza prosaicamente simboleggiata da un contratto precario. Che non significa che tutto sia da buttare, ma che questo è il clima che si respira, dove non conta la sostanza, ma il sentire attorno, dove il buono non fa notizia, la spazzatura sì.

Spero di uno slancio stimolato non da un Messia, ma dalle formichine che lavorano consapevoli ed instancabili emettendo un'aria migliore. Spero nel vento delle Alpi e degli Appennini e del Mediterraneo e della Storia. Spero, ma questo sentimento lo sento aleggiare attorno a me. Lo dirò in prosa, per non elevare questo sentimento a poesia. Studio e lavoro, come dicevano i Cistercensi, ma non m'importa manco di trovare le radici, mi basterebbe la visione di un futuro per cui lavorare, un futuro da condividere.

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