Inutile dire che...

31/07/10

Inutile dire che mi sia appassionato a questa vicenda Fini-Berlusconi. Ma non è superfluo ammettere che sono sorpreso da
a. modalità: Berlusconi, di solito, preferisce cose più mediatiche e questa volta credo che non abbia bucato lo schermo.
b. prospettive: i numeri di Fini sono ben più alti di quanto sembrasse e avere contro il Presidente della Camera è una cosa che da quando c'è il maggioritario bipolare non s'è mai visto perché estremamente rischioso.
c. tempi: perché farlo prima dell'estate con la manovra che in Autunno creerà problemi (+ la Riforma dell'Università).

Credo, però, che se si tornasse alle urne Berlusconi ri-vincerebbe, Fini prenderebbe molto poco perché sta simpatico a molti, ma non so quanti lo voterebbero mentre il PD rimane fuori dai giochi. Anche perché il regime mediatico berlusconiano è intatto e Fini ne uscirebbe con le ossa rotte.

Chiudo dicendo che tra corrotti, mafiosi e camorristi e Fini, Berlusconi ha scelto chiaramente da che parte stare.

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Pomigliano, Marchionne, appunti vari

28/07/10

Non ho seguito granché la vicenda, le discussioni sindacali altrui non mi appassionano. Da tempo, però, mi rimbalza in testa un dato e una proposta.
Il dato: i sindacati pensionati sono, da tempo, i più grandi sindacati dentro le varie confederazioni sindacali alias lo SPI ha superato la FIOM nella CGIL.
La proposta: l'allora Min Damiano propose una legge per distinguere i sindacati dei lavoratori dai sindacati dei pensionati. Semplice, no? Perché ricordatevi che quando Epifani&co parlano, sono eletti per lo più da pensionati, da vecchi lavoratori, mentre di giovani sindacalisti nemmeno l'ombra.
L'ultimo che lo riconobbe fu Cofferati nel suo discorso d'addio: il sindacato non rappresenta i giovani precari, è un problema grave. Da allora, il silenzio.

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il segno

25/07/10

Quest'articolo di Mario Monti, politico di cui l'Italia avrebbe bisogno per serietà e cognizione di causa, analizza un nodo fondamentale. Usando parole diverse, mi viene da interrogare le persone chiedendo loro quale prospettiva temporale ha l'Italia, quante volte sentono le 'date' relative al futuro dell'Italia. A parte Expo 2015, l'unica visione per il futuro sono le prossime elezioni. Mai nessuno che si chieda come sarà l'Italia da qui ai prossimi 10-20 anni (che pure sono poco).
All'inizio degli anni '90 una classe politica intelligente fatta dei vari Amato, Ciampi, Prodi, Dini, ecc si disse: da qui a dieci anni l'Italia dev'essere in Europa con una moneta unica. E giù politiche conseguenti, difficili riforme di pensioni, tagli della spesa pubblica, apertura internazionale.
Una vampata di intelligenza subito soffocata dalla politica mafiosa delle clientele per accontentare il qui ed ora dei boss. Il Governo D'Alema è stato il passaggio in cui quel momento è crollato, fallito perché di fronte alla competizione allargata gli Italiani hanno avuto paura. Sono arrivati inadeguati per decenni di scelte miopi e han deciso di rigirarsi indietro, tornando alla tutela delle consorterie, dei clan, delle famiglie allargate, delle corporazioni.
Sì ecco, allora guardate indietro alla metà degli anni '90 e cosa dicevano allora i politici, quali prospettive temporali proponevano e confrontatele con quelle di oggi.

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colpo di grazia

Il Principe, amico e compagno di questo Ducato, anche ieri ha iniziato ad essere pessimista sulle sorti di questo nostro paese. Per chi non lo conoscesse, dovete sapere che il Principe è persona di grande ottimismo che io prendo in giro per il suo buonismo, per essere una persona orientata a guardare sempre il lato migliore delle cose e cercare di non ingigantire oltre misura gli aspetti negativi. Bene, se anche una persona così da segnali di negatività sul futuro dell'Italia, allora io, che di natura sono pessimistra e negativo come tutti gli anti-berlusconiani, mi sento autorizzato definitivamente a cercare un qualunque posto dove andarmene. Basta trovare un lavoro all'estero, poi si accetta quasi qualunque destinazione. Ultimamente guardavo Olanda e Lussemburgo, ma anche USA, Canada, Brasile, India... insomma, ovunque, basta un lavoro.
Ormai, lo ammetto, si punta al salvare se stessi: l'Italia che non reagisce a questa condizione con 30% di disoccupazione giovanile (media nazionale, figuriamoci in alcune regioni) e Mafia lasciata dilagare in quanto unica via di salvezza per i più.
Tristissimo ammetterlo, ma nell'Italia di oggi l'unico motto è "si salvi chi può".

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Più di tutti

24/07/10

Più di tutti, fu Tomasi di Lampedusa ad aver capito l'essenza profonda dell'Italia. Guardate qui (grazie a chi miha mandato quel link).

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Nel caldo

22/07/10

Appoggiato al suo pastorale, l'Arcivescovo McWyzer seguiva la cerimonia con un misto di raccoglimento, solennità e torpore. Il caldo romano non si addiceva a un uomo del Nord. Sopportava il caldo meno peggio di quanto pensasse e rifletteva sulle sue terre, la Britannia e la sua scuola che aveva dovuto lasciare.

A Roma era giunto per "pregare per la salute del Sommo Pontefice". Si sapeva, o forse si sperava, che di lì a poco ci sarebbe stata una nuova elezione e non si poteva certo aspettare il Concilio per decidere chi avrebbe dovuto prenderne il posto. Tutti già sapevano che il Cardinal Staturini avrebbe dovuto essere il nuovo Pontefice, ma a McWyzer questo non interessava. Giochi romani, si ripeteva, mentre a lui preoccupavano le sorti della Gran Bretagna, ancora tremendamente debole.

McWyzer si appoggiava al Pastorale di Scandinavia, avvolto nel suo mantello di Britannia. Scelto come rappresentante delle Chiese del Nord, la cerimonia di investitura fu particolarmente spartana. I Vescovi scandinavi mandarono giusto un prevosto con le insegne pastorali di Scandinavia da consegnare a McWyzer. Non tanto per fiducia in lui, quanto per consapevolezza dell'inutilità del recarsi a Roma per quell'occasione.

I Cardinali del Nord sapevano che gli Italiani avevano già deciso tutto tra di loro attraverso le loro lotte di potere: un modo di ragionare tanto lontano dalle genti del Nord, in cui, forse, solo McWyzer poteva orientarsi. L'Arcivescovo era talmente poco propenso agli studi teologici e liturgici ché inizio a interessarsene. Capì in quell'occasione che questa sua sensibilità era stata la sua ancora di salvezza durante le lotte per la pacificazione della Gran Bretagna.

Chinata la testa, l'Arcivescovo accarezzava gli araldi di Britannia cuciti sul suo mantello; con l'altra mano, stringeva la Croce di St Andrews, mentre continuava a pensare. Il silenzio del suo viso era un misto di preghiera e assenza.

Impartita la benedizione, i Cardinali uscirono, mentre McWyzer tornò per godersi un po' di fresco.

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volevo dire...

A me le zanzare proprio non piacciono.

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Hopeless Italy

21/07/10

We're now discovering a huge network of corruption in Italy where business and politics are so close that you can't understand what's going on. This is Mafia, also if there're some other names and brands and persons involved.

However, Italy is an hopeless country because people doesnt' care. The problem of Italy is not Mafia and corruption, but the fact that we don't care about these problems.

At least, some years ago people went insulting Craxi launching coins: symbol of an (unpolite) way to show that they were distusted by that system. Now, it's even worst, but nobody cares and in the square there're always the same people facing each other their different flags.

I've lost hope for my country, I'm just looking for other ways, almost if Italy doesnt' surprise me with something I can't expect now.

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correnti assurdi

20/07/10

Tra gli assurdi che corrono in questi mesi c'e' una crisi finanziaria che ha arricchito chi ha lavorato nella finanza in maniera irresponsabile, spesso illecita, che deve essere salvato tagliando lo stato sociale, il pubblico impiego e gli altri settori che devono essere sacrificati per i banchieri.
Ma perche' un pubblico dipendente da 1000 euro al mese deve perdere il posto per salvare un banchiere che, essendosi comportato in maniera irresponsabile, rischia di perdere il stipendio e passare da 5000 a 4750 euro al mese?
So perche' questo succede, ma... let banks fail!

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una lettera ricevuta

19/07/10

Ho ricevuto questa lettera via email. Viene da un articolo di non so dove, me ne scuso, ma non so essere più preciso. Mi piace, non è il mio punto di vista, ma trovo sia una lettera molto interessante e su cui valga la pena spendere un 5' a leggerla e, perché no, a commentarla.

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Scandali ecclesiastici
Tempo di prova, tempo di grazia
di Franco Monaco *

Dalla pedofilia al sospetto coinvolgimento in fenomeni di illegalità. Per la Chiesa è tempo di
tribolazione. Di penitenza e di conversione. Tempo di prova, ma forse anche tempo di grazia. Intendiamoci: guai a fare di ogni erba un fascio o a indulgere alla caccia alle streghe. Conosco e frequento da una vita sacerdoti e uomini di Chiesa. In me, nulla potrà cancellare ammirazione e gratitudine verso persone e istituzioni ecclesiali. Esse, nella loro stragrande maggioranza, sono semmai parte lesa, avrebbero diritto ad essere risarciti da chi ha gettato discredito sul loro buon nome e sulla loro generosa dedizione. Ma per la Chiesa è occasione di riflessione, e il papa ha aperto una strada che va battuta con evangelico coraggio. Perché l’attuale pontefice non ha il carisma e la popolarità del suo predecessore, ma, indiscutibilmente, è immune da visioni trionfalistiche. Di più: egli dà mostra di essere lucidamente consapevole della portata drammatica della sfida alla fede nel mondo contemporaneo e dell’inadeguatezza degli uomini di Chiesa (cioè tutti noi che ci diciamo cristiani) di fronte ad essa. Dal mio punto di vista, un grande merito, una singolare virtù. Se solo si pensa a certe visioni autorassicuranti (e di potere) circa una presunta nuova centralità del cristianesimo e della Chiesa nella società e nella politica, che ha ispirato una lunga stagione recente della Chiesa italiana. Un’illusione fuorviante, semmai, essa stessa indizio di mondanizzazione, di decadenza, di appannamento dei sensi spirituali.
Per oltre vent’anni, ai vertici della Chiesa italiana, hanno avuto corso tre idee a mio avviso infondate: 1) che la scristianizzazione della mentalità e dei comportamenti stesse conoscendo una positiva inversione di tendenza; 2) che, con riguardo alla relativa tenuta di un ethos cristiano, l’Italia rappresentasse una positiva eccezione nel quadro dei Paesi occidentali; 3) che l’accresciuta influenza della Chiesa sulla vita pubblica e politica fosse fattore e, insieme, espressione di tale regresso del trend della scristianizzazione. A sostegno di tali convincimenti si esibivano indicatori esili e per nulla probanti: l’8 per mille, la scelta della religione a scuola, le mobilitazioni tipo “Family Day” o il referendum sulla fecondazione assistita, i raduni giovanili di massa, l’appeal di Giovanni Paolo II. Rilevazioni e soprattutto letture più accurate (da ultimo quella dello Iard sui “giovani con e senza fede”) hanno messo radicalmente in discussione tali rappresentazioni. Del resto, gli omaggi di rito tributati alla Chiesa e ai suoi rappresentanti non possono certo occultare la profonda distanza e persino lo stridente contrasto tra i paradigmi cristiani e le più macroscopiche manifestazioni della vita pubblica: dalla cultura di massa veicolata dai media all’economia alla politica. E comunque papa Benedetto dà l’impressione di coltivare una visione decisamente più pensosa, severa, persino allarmata della condizione del cristianesimo nel nostro tempo, Italia compresa, e di puntare allo scavo e all’interiorità, non facendo soverchio affidamento sulle mobilitazioni di massa (in occasione del Giubileo del 2000, Ratzinger fece una significativa confidenza: “Sono tra quelle persone che hanno difficoltà a trovarsi in una struttura celebrativa permanente”. Come non ricordare anche il disagio di Benedetto XVI, da poco eletto, alla Giornata mondiale della Gioventù di Colonia?).
Ma, per tornare a oggi, accenno a quattro profili del cammino di purificazione suggerito dalle prove che stanno affliggendo la Chiesa. Dolorosi “segni dei tempi” che vanno colti, interpretati e messi a frutto.
Primo: la sporcizia anche dentro la Chiesa (parola di Ratzinger). La sua partecipazione al peccato degli uomini la fa umile, consapevole dei suoi limiti e delle sue contraddizioni. Tanto più dolorose e imbarazzanti per un’istituzione che proclama una Parola alta ed esigente, la perfezione nella carità.
Lo anticipò Giovanni Paolo II con i suoi mea culpa, urtando la suscettibilità di settori ecclesiastici refrattari allo spirito del Giubileo. Sotto l’incalzare dello scandalo della pedofilia, a quel severo esame di coscienza ha dato seguito papa Benedetto, spingendosi sino alla tesi che gli attacchi e le insidie alla Chiesa vengono più da dentro che non da fuori. Tesi opposta a quella sostenuta dagli atei devoti e dai devoti atei. Cioè dai laicisti compiacenti e dai cattolici per convenienza.
Il secondo esame di coscienza verte sul controverso rapporto degli uomini di Chiesa con il potere, gli affari, la carriera. A ben riflettere, la più luciferina delle tentazioni e la più scandalosa delle controtestimonianze. Basti considerare che il peccato di Adamo, radice e archetipo di tutti i peccati, come ammonisce la Genesi, consiste appunto in un cedimento alle lusinghe del potere: la pretesa di assurgere alla misura di Dio, di disporre cioè di un potere senza limiti, della onniscienza e dell’onnipotenza del Creatore. Forse la Chiesa dovrebbe riconoscere che tale tentazione ha fatto breccia nei suoi vertici e comunque più a Roma che nelle Chiese locali. Che c’è un problema connesso alla concreta forma assunta dalla struttura gerarchica e centralistica della Chiesa. Che si è estenuata la spinta conciliare a restituire libertà, sobrietà, scioltezza alla Chiesa (oggi si ha pudore persino a parlare di povertà della Chiesa, tema centrale del Vaticano II): più comunione e meno istituzione, più collegialità e Chiese locali e meno centralismo e burocrazia curiale. Si è come esaurita la spinta ad assimilare una effettiva discontinuità rispetto agli schemi concettuali e pratici ereditati dall’età costantiniana.
C’è un terzo fronte meritevole di ripensamento e conversione. Quello attinente ai rapporti tra Chiesa e Stato. La storia secolare di una Chiesa che è stata anche uno Stato ancora pesa, nonostante le parole definitive di Paolo VI che osò definire “provvidenziale” la fine del potere temporale dei papi. La distinzione tra morale e legge, tra peccato e reato, tra responsabilità in capo alla Chiesa e responsabilità in capo allo Stato dovrebbe condurre alla piena collaborazione con le istituzioni civili quando uomini di Chiesa dovessero incappare nei rigori della legge. Salvo nei casi eccezionali, contemplati dal Concordato, nei quali fosse in gioco la libertà e la riservatezza prescritte dal proprio ministero. Che deve riguardare però le anime, non gli immobili.
C’è infine un quarto capitolo: quello della gestione dei mezzi strettamente necessari all’esercizio del ministero ecclesiastico, considerato che la Chiesa è anche istituzione umana. Qui merita considerare due profili: a) quello della trasparenza e della legalità, a cominciare dai bilanci, che dovrebbero essere esemplari, sia per corrispondere al “privilegio” del regime concordatario, sia per un dovere di coerenza con il messaggio etico-civile di una Chiesa che predica civismo e lealtà verso le istituzioni; b) il profilo che attiene alla cooperazione responsabile di laici competenti nella gestione dei beni ecclesiastici.
L’esperienza attesta che talvolta, in questo caso anche ai piani bassi della Chiesa, l’illegalità è il prodotto, più o meno consapevole, della leggerezza e del pressapochismo, di un deficit di familiarità con le leggi civili. Se i sacerdoti, il cui ministero li chiama ad altro, tanto più in un tempo di penuria di vocazioni, delegassero di più a laici capaci e affidabili, certi spiacevoli incidenti si farebbero più rari.
È solo un piccolo, incompleto promemoria, di cui mi pare il papa, questo papa, abbia posto le premesse. Ma egli non va lasciato solo.
*Già parlamentare del Pd, presidente dell’Azione cattolica ambrosiana e dell’associazione Città dell’Uomo

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volvér

In Castigliano, significa tornare. Milano, la grande chiazza d'asfalto in mezzo alla pianura. Umiliata nel 150enario della sua Provincia, Milano è una città dove si sorride poco, anche perché c'è poco di cui sorridere.
Colpisce la maleducazione dei conducenti ATM che se la prendono con noi passeggeri se le loro macchinette non ci fanno obliterare i biglietti.
Nessun sorriso tornando in questa Milano.

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la città conta

07/07/10

Roma, bellissima. Questo blog un po' ne risente, ma tant'è. Roma, la città eterna.

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For wayfarers | Per i viandanti

Duke's guests | Ospiti regolari

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