delle reazioni al mio sfogo

29/11/10

Come mi aspettavo, ho avuto alcune reazioni al mio sfogo di qualche giorno fa. In generale, non è cambiato niente: chi ha capito il discorso, già l'aveva capito e chi non l'aveva capito continua a non capirlo, confondendo questioni personali e di gruppo, questioni di relazioni con questioni sostanziali.

Dalle persone che si son sentite accusate (e effettivamente so di non esserci andato giù affatto leggero), mi son sentito ripetere che metà delle cose me l'ero inventate perché avevo informazioni errate e l'altra metà che comunque avevan ragione loro. In particolare, tutto nasce da informazioni sbagliate che io sarei dovuto andare a procurarmi per capire che in realtà avevano ragione loro (grazie, bell'apertura al dialogo!).
Ogni commento è superfluo, ma l'insegnamento generale è che conta quello che uno sa e che non gli si può dare dello stupido se non sa cosa che non gli sono state dette (quante analogie con l'Italia berlusconiana...). Oltre al fatto, che non è carino che in una discussione si parta dal principio suddetto che uno è nel torto perché non si è informato e quindi la sua opinione non può che essere sbagliata.

Secondo, mi è stato detto che è colpa mia perché non sono andato incontro a gesti riconciliatori e che non era possibile che io non ne fossi a conoscenza. Tuttavia, se uno vuole riconciliarsi si preoccupa che l'altra persona venga all'incontro o, se non è venuta, ex-post gli chiede perché... sempre che gli interessi veramente riconciliarsi e affrontare il problema. Ribadisco, in questa storia nessuno è mai venuto a chiedere la mia opinione e, quando la esprimevo, mi ripetevano che era perché non ero informato e comunque che avevo torto. E se non bastasse, andavano in giro a dire cose tutt'altro che piacevoli sul mio conto.
Dal mio punto di vista, non ho forse ragione ad esserne arrabbiato? Evidentemente no, perché ero solo male informato e comunque avevo torto, ma se nessuno dice a me quello che mi riguarda come posso io saperlo e ammettere di avere dei torti che, in realtà, già ho ammesso sentendomi ripetere che comunque loro non ne avevan mai di torti? Non fa forse arrabbiare che si vada in giro a dire una "verità" che mi riguarda, che mi mette in cattiva luce, facendomi passare per quello che non sono (pazzo, permaloso, male informato, prevenuto), senza farsi lo scrupolo di dirlo a me?

Infine, mi è stato chiesto come sia potuta succedere una cosa del genere in un tal gruppo. La mia risposta è molto semplice e mi ha permesso di far maturare una regola che sento come generale. Per anni, si scelsero i candidati non per amicizia, ma per merito, per serietà, per impegno e come investimento sul futuro e su questa scelta si cercava di accompagnare, aiutare, collaborare, responsabilizzare chi veniva scelto. Vidi che poi, pian pianino, senza che molti se n'accorgessero, le scelte vennero dettate dalle amicizie, simpatie o antipatie. In Italia, ad un amico non si vuol mai dire che sbaglia, non gli si vuol mai dire che forse per il gruppo è meglio altro, non si può dirgli di no. Se un gruppo è guidato da un progetto, la gente si avvicina, si sceglie e si allontana funzionalmente a quel progetto, sia esso un partito, un'associazione, una squadra; se un gruppo è dettato dalle amicizie ci si diverte molto di più, ma non si riescono a evitare quelle storture per cui, se un amico fallisce, allora bisogna aiutarlo a rifarsi. Se un collega fallisce, allora forse è meglio riconsiderare le sue capacità funzionalmente al progetto generale.
A costo di rendermi ulteriormente accusabile e antipatico, non posso non notare che quel comportamento emerse quando finirono per prevalere le persone del Sud Italia su quelle del Nord: datemi del razzista, leghista, non me ne frega niente, ma credo che questo prevalere dell'amicizia sul merito è un male che colpì quel gruppo, così come colpisce il nostro bellissimo Mezzogiorno. Esplicito questa cosa nella speranza che possa anche aiutare qualcuno a prendere consapevolezza di quali meccanismi sociali (tecnicamente: istituzioni) affliggono il nostro bellissimo paese. E' meglio fare un favore a un amico che non preservare la qualità di un progetto che possa durare e maturare nel tempo. Sia chiaro, le persone del Nord non sono esenti da queste cose e non voglio in alcun modo far prevalere alcuna equazione nord=merito=bravi e sud=clientele=cattivi. Sia chiaro che non è quello che penso perché so che al sud ci sono persone bravissime, spesso migliori di quelle del Nord perché abituate a farsi il doppio mazzo per rompere meccanismi clientelari. Spero, sinceramente, che si capisca il senso profondo di questo mio paragrafo: come si scelgono le persone? In funzione delle amicizie o del progetto che si vuole perseguire? Questo vale nel piccolo, come nel grande: Bersani è stato scelto come migliore per un progetto o come figlioccio di D'Alema?

Infine, mi han chiesto se e come si possa rimediare. Il mio sfogo arriva quand'ormai è tardi perché sto finendo il dottorato. Innanzitutto, io non credo di dover andare a nessuna riconciliazione né di dover fare io alcun passo in avanti perché, quando ho riconosciuto i miei errori, mi sono ritrovato davanti un muro che continuava a rimbalzare sempre e solo su di me tutte le colpe, e allora mi sono stufato di sentirmi ripetere che è sempre e solo colpa mia. Io spero che gli altri miei progetti non vengano sacrificati da questa mia vicenda e che, per esempio, l'associazione dottorandi riesca in qualche modo a proseguire, malgrado tutto: là ho gettato dei semi in cui credo molto ché poi sono persone con le loro idee e, spero, il coraggio di trasformarle in azioni concrete perché, come dissi tempo fa, "la politica è filosofia in atto" e se mai un giorno si chiederà quale sia il mio pensiero filosofico(-politico), spero parta dalle mie azioni politiche più concrete. Là, mi sono sempre sforzato di circondarmi da persone che condividessero il progetto, non da amici, anche se poi con alcuni di loro siamo diventati amici. Sul rimedio umano-morale, non ho molto da dire e la ferita rimane. Amen, andrò avanti ché sono ancora vivo... dicevano gli antichi: quel che non ammazza, ingrassa. E io sono ingrassato, ferito ma ingrassato... Mi han chiesto se in futuro si potrà rimediare e riprendere a collaborare: peccato, che io abbia deciso, anche per colpa di questa ferita, di chiudere un rapporto ormai decennale col Politecnico (altre storie alla base di questa scelta non le ho (ancora) raccontate, ma tant'è... non credo neanche di volerle raccontare) e quindi, anche volendo, non vedo che possibili collaborazioni possano esserci.

Passo e chiudo, senza più voglia di parlare di questa vicenda perché a molte (mie) parole sono seguiti troppi pochi fatti (altrui) e, personalmente, sono stufo di sentirmi ripetere che ho torto, che sono solo permaloso, che dovevo informarmi meglio, che il mio punto di vista è parziale e limitato e che è tutto solo dettato dal mio cattivo carattere. Tanto, il tempo andato non ritornerà, le cose di una volta non si dimenticheranno, e sono stufo di parole senza atti concreti. Io so di aver fatto la mia parte, al meglio delle mie capacità, sapendo come e con quali persone si possono affrontare i problemi. Spero che questo ulteriore sfogo aiuti a capire un po' di questa lezione, agli altri che avran voglia e pazienza di leggere per cercare di capire (non per avere conferma che loro hanno ragione ed io torto) ma soprattutto a me che, grazie a chi mi ha spinto a sfogarmi, sto imparando la lezione che ho vissuto.

1 commenti:

D21 29 novembre 2010 alle ore 09:51  

il commento finale non può che essere la colonna sonora che ripete "E ho ancora la forza di chiedere anche scusa o di incazzarmi ancora con la coscienza offesa".
"Ho ancora la forza che serve a camminare, picchiare ancora contro per non lasciarmi stare: ho ancora quella forza che ti serve quando dici: "Si comincia!"."

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