guardando la ferita

04/09/15

Sono allergico alle emozioni collettive (limite mio), anche se apprezzo moltissimo quello che tanti volontari stanno facendo per i rifugiati in Europa. Volontari, associazioni e anche molte istituzioni stanno cercando di mettere una pezza a questa ferita di cui non è necessario richiamare l'importanza.

Eppure, manca una cosa: sappiamo che il coltello che l'ha provocata è quello stato di guerra, guerriglia e disperazione che si estende dall'Iraq alla Libia, dalla Siria fin giù all'Africa nera. Sappiamo che quei rifugiati stanno scappando dalla guerra, anche se il nostro immaginario collettivo si ferma alle spiagge coi barconi.

Bisogna spingere un po' più in là lo sguardo per vedere la totale incapacità di affrontare uno stato di guerra diffusa in una parte enorme di questo pianeta. Europa, USA e altre forze occidentali non sanno cosa fare: possibile che non si sia ancora riusciti a sconfiggere l'esercito siriano? Possibile che con l'ISIS non si riesca a creare un cordone di isolamento finanziario? Possibile che in Libia gli USA non riescano più manco a mettere un qualche dittatore loro amico come hanno fatto per decenni? Che era una porcata, ma almeno era un'idea di cosa fare.

Niente. Zero. Vuoto.

Io non sono un esperto di politica estera, tanto meno di quelle zone del globo. So che c'è una guerra in Siria dal 2010 e ancora non se ne vede la fine. So che la Turchia è in guerra non si sa bene contro chi. So che c'è questa cosa che si chiama ISIS di cui tutti parlano male, ma nessuno combatte. So che la Libia è nella guerra civile. Immagino ci siano altre guerre, guerriglie e storie inumane che si intersecano e che non conosco.

So che l'Europa sta cercando di rattoppare la ferita, ma è incapace anche solo di guardare negli occhi chi l'ha provocata.

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