Larga la foglia, stretta è la via. Dite la vostra, ch’io ho detto la mia.

31/08/20

#IoVotoSi

Al prossimo referendum costituzionale, ho deciso di votare SÌ ed eccovi la (lunga) spiegazione delle mie ragioni.

Partiamo da un fatto.

Quanti di voi conoscono almeno il 10% degli attuali parlamentari? Quanti saprebbero collocarli correttamente fra Camera e Senato? Quanti sanno effettivamente quali sono le loro attività parlamentari? Ecco, credo che nessuno senza l’aiuto di internet sarebbe in grado di tirarmi fuori i 90 nomi che vi ho chiesto. Ma credo che anche ad abbassare la soglia al 5% sia difficile trovare chi conosca almeno 50 parlamentari e considerato che ho parecchi contatti molto attivi in politica questo è già un problema. Ma entriamo nel merito.

Il referendum propone quindi di ridurre questa fetta di parlamentari di cui non sappiamo neanche il nome con l’auspicio che questo aumenti la competizione elettorale, quindi la selezione dei migliori rappresentanti. Boeri e Perotti evidenziano che nella passata legislatura (2013-2018) il 30 per cento dei senatori italiani ha disertato più di un terzo delle votazioni, l’attività legislativa si è concentrata su poco più del 10 per cento dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, lasciando due terzi dei nostri rappresentanti senza alcun ruolo. Molti di loro in cinque anni non sono mai stati né promotori né relatori di un singolo provvedimento. Quindi basterebbe avere senatori più presenti e più produttivi per assolvere pienamente queste funzioni.

https://www.lavoce.info/archives/69105/perche-un-parlamento-piu-piccolo-funziona-meglio/

 

Esiste poi un argomento che questo ridurrebbe la rappresentatività’ del Parlamento. Tuttavia, è un argomento fallace per le seguenti ragioni.

1. La rappresentatività del parlamento dipende in larga parte dalla legge elettorale, non dal numero di eligendi. L’Italia ha la (cattiva) abitudine di cambiare leggi elettorali molto spesso, tendenzialmente a favore della maggioranza che sa che perderà le prossime elezioni. La rappresentatività delle minoranze dipende quindi dalla legge elettorale, NON dal numero di parlamentari.

2. Apprezzo questa riforma perché cambia un aspetto specifico del Parlamento senza intaccare la divisione dei poteri, gli equilibri costituzionali e le sue funzionalità. Si tratta cioè di sottoporre a referendum qualcosa che i cittadini possono comprendere, anche senza essere costituzionalisti. Questa riforma non cambia i complicati e delicat(issim)i meccanismi di funzionamento di un Parlamento (per i quali il referendum non sarebbe uno strumento appropriato) o gli equilibri costituzionali della Repubblica (la critica che feci alla Riforma Boschi-Renzi del 2016).

3. La legge è stata approvata con maggioranza qualificata nei 2 rami del parlamento, cosa non avvenuta, per esempio con le propose di riforma costituzionale Berlusconi del 2006 e Renzi del 2016 che erano state approvate dalle sole maggioranze di allora, senza il concorso delle opposizioni. Noi votiamo solo perché una settantina di franchi tiratori ha richiesto un referendum confermativo. Atto dovuto, ma politicamente discutibile. Sia maggioranza che opposizione sono favorevoli alla riforma che era prevista sia nel programma dell’Ulivo di Prodi, sia nella riforma di Berlusconi che in quella di Renzi. Insomma, uno dei pochi temi su cui si può costruire un consenso trasversale di lungo periodo.

4. I partiti più piccoli (fra cui quelli per cui io ho votato alle ultime elezioni) denunciano che così rischiano di essere esclusi dal Parlamento. Vero, forse. Se però raccogliessero più voti, magari avremmo maggiore rappresentanza in Parlamento. Se quello è il problema, la soluzione è la legge elettorale, le eventuali alleanze ma soprattutto la strategia politica. In qualunque caso, il numero di parlamentari rispecchia “in qualche modo” i voti alle urne. Tant’e che le leggi elettorali di comuni, province, regioni, parlamento e parlamento europeo rispecchiano tutte formule diverse. Pertanto, inviterei i partiti piccoli ad aumentare i loro consensi che poi verranno sicuramente rappresentati negli organi. Inoltre, è già noto che dopo aver cambiato il numero di parlamentari da eleggere, si cambierà anche la legge elettorale.

5. Le minoranze linguistiche possono essere tutelate come richiesto dalla costituzione, a prescindere dal numero di eligendi. Un’eventuale sovra-rappresentazione di valdostani, alto tirolesi e friulani fa parte dell’idea stessa di tutela delle minoranze linguistiche. È così in tutte le parti del mondo, altrimenti che tutela è.

6. Il numero di parlamentari NON è stato sancito dai padri costituenti. Nella Costituzione originale c’era un rapporto fra numero di parlamentari e popolazione. Nel 1963, questo rapporto venne bloccato perché la popolazione era cresciuta oltre misura e serviva porre un limite. Dal 1963 ad oggi la popolazione italiana è ulteriormente cresciuta e, MOLTO IMPORTANTE, abbiamo aggiunto altri organi legiferanti quali i consigli regionali ed il parlamento europeo. Nella costituzione originale, c’era un solo organo legiferante e sovrano, il Parlamento italiano. Oggi ci troviamo in un sistema che in inglese si chiama ‘multilevel governance’, cioè le leggi seguono un articolato processo fra Bruxelles, Roma e ogni capoluogo regionale. Ridurre il numero di parlamentari servirà, a mio avviso, a migliorare la qualità degli eletti anche negli altri organi. Il numero di eletti legiferanti nei decenni è significativamente aumentato. Quindi, votare sì è anche un modo per essere regionalisti ed europeisti, almeno a mio modesto parere.

7. L’idea che il rapporto eletti/elettori implichi il controllo di qualità sulle attività degli eletti è a mio avviso risibile. Premesso che non esiste un rapporto numerico perfetto, non mi pare che l’attuale risultato sia brillante. Anzi, se più persone controllano il singolo eletto si può sperare in un maggiore controllo (servirebbe però saperne almeno i nomi…). Inoltre, oggi esistono tecnologie di comunicazione che hanno cambiato radicalmente la partecipazione politica. Gli organi assembleari dovrebbero prenderne consapevolezza. Su questo, suggerisco gli studi di OpenPolis.

8. Il cattivo rapporto fra eletti e territori è legato anche al modo in cui le circoscrizioni vengono disegnate. Vi suggerisco di andare a vedere come Franceschini fece disegnare il suo collegio elettorale di Ferrara. Come per le leggi elettorali, i collegi vengono spesso disegnati a favore del partito al governo. In inglese, lo chiamano “Gerrymandering” (https://en.wikipedia.org/wiki/Gerrymandering), giusto per dire che non è solo un problema italico.

9.  L’ottimo è nemico del buono. Questa modifica alla costituzione non è ottima, ma buona sì. Non si può sempre dire di no e rinviare al giorno in cui si potrà votare la riforma “ottima” perché, lo sappiamo, quel giorno non arriverà mai. Oltretutto, una Costituzione raramente può essere cambiata per referendum, casomai servirebbe un’assemblea costituente, ma non mi sembra questo il tempo. La Costituzione si può modificare, se si cambia in meglio. Nel mio piccolo, credo che questo sia un piccolo passo, pur consapevole che non è né la soluzione a tutti i problemi di questa scalcagnata repubblica.

10. Non mi interessa chi ha proposto questa modifica. Non mi interessa chi vota per chi. Non mi interessa fare raccolta delle figurine di uno schieramento o l’altro. Io ragiono con la mia testa, le campagne elettorali sulla costituzione mi infastidiscono sempre un po’.

 

Chiudo dicendo però che questa modifica non è una rivoluzione. Io voterò sì e spero che ovviamente il referendum passi, ma se dovesse vincere il no non credo che sarà una tragedia (come lo sarebbe stato in altre occasioni). Se vincesse il no sarebbe un’occasione persa (l’ennesima), ma non una tragedia. D’altra parte, il sì non è di certo la bacchetta magica che risolverà i problemi della politica italiana. Però, nel mio piccolo, credo che votare sì aiuti a fare un passettino in una direzione un po’ migliore. Questo Si. Per questo, #iovotosí.

 

Larga la foglia, stretta è la via.

Dite la vostra, ch’io ho detto la mia. 

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26/08/20

 

c’è che quando non ci si diverte più, bisogna cambiare.

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Ragioni di preoccupazione

14/08/20

Ho il terrore che questa pandemia sia il colpo di grazia per l'economia italiana. 


L'Italia é cresciuta dal dopoguerra fino alla crisi degli anni 70 basandosi sul fatto che era il paese occidentale con la manodopera a piu' basso prezzo. Gli ingenti investimenti del Piano Marshall, giustificati dalla posizione strategica del BelPaese, permisero  all'Italia una rapida crescita, mai vista prima. Nel periodo monarchico, la crescita era concentrata di fatto in 3 regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria), dopo la guerra coinvolse un po' tutto il paese, seppur con evidenti disparita' per il ben noto problema del Mezzogiorno.


La crisi degli anni '70 e' stata sfangata svalutando e facendo debito negli anni '80 al fine di mantenere competitivita', mentre il resto dell'Occidente non poteva correre il rischio di perdersi l'Italia per strada sconvolta com'era da una latente guerra civile. Nel frattempo, pochi investimenti produttivi di lungo periodo avevano sostenuto una crescita che dagli anni '90 e' rimasta asfittica. Nuovi paesi erano diventati la frontiera occidentale della manodopera a basso costo (prima la Polonia, poi la Romania). Alcuni italiani hanno saputo approfittare dell'allargamento dell'Unione che Prodi aveva giustamente intuito. La crescita e' rimasta la meta' della media europea fino alla crisi finanziaria.


Il grafico della crisi innescata da Lehmann Brothers mostra un'Italia che cola a picco e ci rimane. Nessun rimbalzo, né immediato né ritardato. Dopo la caduta, una lenta risalita a un tasso mezzo rispetto al resto d'Europa. Ora la pandemia mentre il paese non si e' mai veramente ripreso. Non solo il Mezzogiorno e' sensibilmente peggiorato, ma ormai anche la Lombardia e' terra di emigrazione.


Ho paura che la pandemia condanni l'Italia (e la Spagna) ad una lunga sopravvivenza a se stessa. Qualche misura di solidarieta' in un paese in via di spopolamento, marginalizzazione, dipendenza. Insomma, l'Italia del XVII secolo. I soldi ricevuti dall'UE si scontrano con una mancanza di progettualita' economica per il paese. Le discussioni sono limitate a sconti fiscali, sussidi e liberta' di licenziamento, cassa integrazione e qualche strada. Nessun progetto di produttivita' economica.


Mi preoccupa perché gia' la mia generazione non ha potuto beneficiare di condizioni come quelle dei nostri genitori, ma qui rischia di aprirsi un si salvi chi puo'. Non stiamo parlando del Titanic che affonda, ma di Pisa che non si rende conto che l'Arno ha insabbiato la costa rendendo il suo porto obsoleto, al punto che tocca fondarne uno nuovo a Livorno. 

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