Esco di casa, attraverso il rumoroso viale di fianco a cui vivo. Non sono ancora le 8 di mattino, devo andare giù in Comune per dei documenti. Evito il Palazzo di Giustizia e giro dietro in una via secondaria. Il
Parco di Egmont è un gioiello ignoto anche a molti Brusseleir veri. Noto che la cancellata è chiusa dai sigilli della polizia, più avanti una strada secondaria sulla sinistra si ricollega al Palazzo di Giustizia e noto parcheggiata una camionetta dell'esercito. Vuota, i soldati li ritroverò più tardi. Scendo lungo una delle mie strade preferite dell'esacapitale, piaceva molto anche a
Marguerite Yourcenar che in quel parco andava spesso. Io sono il responsabile della bellezza del mondo, diceva il suo imperatore. Quelle strade rende testimonianza alle grazie di questo mondo.
Svolto a sinistra, la strada è chiusa di fianco alla Sinagoga. Colgo due soldati di spalle mentre i due poliziotti sono in macchina fermi col motore acceso.Vorrei attraversare il Viale della Reggenza proprio davanti a loro, davanti alla sede del Benelux, ma forse non è il caso, giro lungo e attraverso all'isolato dopo senza dover arrivare fino alla Chiesa di Nostra Signora di Sablon. Scendo per le viuzze strette, storte e pendenti di questo che non riesco a definire veramente un quartiere. Fosse Roma sarebbe una borgata, ma è un concetto da Città Eterna, non per questo paesotto a cui è successo, volente o nolente, di diventare un'esacapitale. Mi verrebbe da usare la definizione di Capossela di 'Barrio', cioé un luogo urbano che gravita attorno a dove si va a bere perché, qui ancora più che in Spagna, è la birra che fa la società e la socializzazione. Mi viene da fondere le parole Brasserie e Barrio in qualcosa tipo Brarrio, ma suona tremendo. Consulto il dizionario di dialetto brusseleir, magari aiuta. Fatto. Parlerei di 'buurke' mischiando 'buur' (con la u lunga alla lombarda, tipo ü) con il -ke diminutivo tipico del dialetto di qui e che si distingue dal nederlandese del nord che preferisce il -je. Dunque, in questo buurke le strade sono stranamente deserte, passa una macchina ed è un'eccezione. il sole è già alto malgrado siano appena le 8 di mattina. Il centro ancora dorme.
Scendo ancora oltre gli antiquari dell'alta Marolles, i soldati di fronte al museo ebraico, i cioccolatai di Sablon e subito sotto i fotografi più famosi di Bruxelles. Passo di fronte a un qualche palazzo della mutua socialista dove di solito ci sono quattordicenni che limonano appassionatamente. Stamattina non c'è nessuno.
Scendo ancora, il Goupil fou ha chiuso e me ne rammarico assai. Mi faccio un film politico sul perché l'abbiano lasciato chiudere. Assieme al Toone erano due posti leggendari, bellissimi, un valore assoluto. Scendo lungo la via dei ristorandi greci e poco importa che meno della metà siano greci, ormai quello è il nome. Da lontano, il Grand Hotel Amigo porta le insegne italiane, belghe ed europee. Mattarella in town. Solo il Quirinale può permettersi quell'hotel. Giro a destra verso la Grand'Place. Mi lascio alle spalle la puzza dei ristoranti che hanno festeggiato la sera prima. Bruxelles Proprété pulisce con calma. Ieri sera c'era il Brussel Danst Festival, manifestazione rigorosamente nederlandofona di danza. Gli operai stanno smontando il palco. I turisti normali si fanno i selfie con il Municipio o la Broodhuis lì davanti o la casa del Re di Spagna o gli altri palazzi delle corporazioni. I turisti giapponesi si fanno i selfie con gli operai che smontano il palco.
Tant'è.
I turisti più raffinati si fanno le foto di fronte alla Chiesa di San Nicola, a cui sono ovviamente molto legato. San Nicola è un santo strano, adorato in gran parte d'Europa e d'Asia è anche un santo profondamente frainteso nel senso che è patrono di un po' tutto, dai bambini alle madri, dai limoni ai mercanti, dagli avvocati ai traduttori. Succede, quando sei un
santo di successo del III-IV secolo dopo Cristo. Qui si commemora il patrono dei commercianti. la chiesa è proprio dietro alla Borsa e lì sotto si trovano le poche rovine di Brosella, quel che resta della città del XIII secolo. Già, perché questa città non fu mica fondata dai Romani, che fondarono Halle a monte e Vilvoorde a valle, ma qui la Zenne faceva palude...
Giro sul grande viale di Anspach, sindaco d'altri tempi. Entro agli uffici comunali. Suono al metal detector e mi controllano lo zaino: tre libri, l'attesa è potenzialmente lunga. Il ragazzo dopo di me ha un grande scatolone, suona anche lui ma nessun controllo perché lo scatolone è chiuso. E potrebbe contenere 4-5 Kalashnikov.
L'attesa in comune è normale perché finalmente sono trattato come un belga (sic!), altrimenti significava almeno 4-5 ore all'ufficio stranieri. Esco, vado a tagliarmi i capelli. Entro ed il barbiere se ne va. Torna un 5-10 minuti più tardi. Mi taglia i capelli. Costa molto meno che a Milano. Non parliamo. Parliamo alla fine del fatto che lui pensa che io sia portoghese. No, Italiano. Di Milano. Lui marocchino, di Meknès, ha degli amici a Milano, marocchini anche loro. Io posso giusto rispondere che sono stato a mangiare al ristorante 'Meknès' sul sagrato di Sant'Egidio. Sorride. Pago.
Riprendo la strada in salita, questa volta faccio quella più veloce. I locali stanno aprendo. Una signora sta pulendo per metter fuori i tavolini. Innaffia le piante, mi bagna e si scusa. Io sono con la mente già a scrivere queste righe. Passo di fronte al Palazzo di Giustizia, i soldati guardano le persone che entrano e escono. Mostrano le loro belle divise. Io resto sull'altro lato della piazza Poelaert e mi limito ad avvicinarmi al Palazzo di Giustizia solo sull'altro lato, dove c'è il palazzo Montesquieu, più moderno.
Il Palazzo di Giustizia di Bruxelles, si dice, ha un collegamento con l'aldilà nei sotterranei. Condannato a non esser mai terminato, il Palazzo è uno dei luoghi più banalmente misteriosi del mondo. Amatodiato, domina la città senza averne voglia, come un lascito di un'età passata. Fuori tempo, deve stare sul palco. Il Palazzo è sede dei poteri dell'occulto, della magia, del dettonondetto. Tempio della giustizia progettato con criteri massonici. L'architetto impazzì e mori prima di finirlo. Almeno questo si dice di Poelaert.
Percorro il grande viale che avevo lasciato stamattina. Una tappa con un pain au chocolat di Paul che non si può tradurre in italiano. Ed ora eccomi davanti al computer.
Realizzo tutto quanto. Una città bellissima, magica, appoggiata disordinatamente in collina per non cadere in una palude che ormai non c'è più. Ho camminato. Sceso e risalito la collina. Ma io, in Comune, ci andavo in metrò. L'esacapitale è oggi una città in parziale stato d'assedio. Il parco chiuso. Le camionette dei soldati. I metal detector per entrare in Comune. L'esacapitale piegata al terrorismo che non sono solo gli attacchi, ma è uno stato mentale, una politica nel senso di modo di vivere insieme temendo non si sa bene chi cosa come quando dove. L'esacapitale con la sua storia, le sue strade, i suoi buurke giace indifferente al terrorismo. Accetta perché Bruxelles non si lamenta, teatro di sei sfere politiche accetta sonnolenta. Ci siamo divertiti ieri sera, il festival, la musica, le birre. Qualche brusselfie dei turisti ché la Grand'Place è proprio bella. Tutto con un velo di terrorismo ché non si capisce bene da chi. Erano belgi che hanno ucciso altri belgi, non è guerra civile questa? Forse troppo definirla così, allora forse un incidente, un gruppo di folli. Intanto io non ho preso la metrò stamattina. E non mi prendo neanche la briga di rileggere ché ormai il dado è tratto.