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Parliamo di politica e dinamiche socioeconomiche.

10/07/25

 Prendiamo il caso del governo Meloni in Italia. Mi pare chiaro che sia basato sul mantenere il consenso di USA di Trump come ideologia, insieme all’amicizia per la Cina perché è da questi due paesi che deriva l'attuale ricchezza dell’Italia, almeno del suo ceto dirigente. Di certo non dalla Germania, che può permettersi di essere autonoma, né dalla Francia che conta sempre meno. L’Europa non è più uno spazio economico di riferimento che possa promettere grandi margini di crescita per l’Italia, allora meglio essere vassalli privilegiati di USA e Cina. Una ricchezza esogena perché tanto la domanda interna non sostiene l’Italia più da tempo. Il mercato europeo non promette né garantisce a un'elise italiana di restare al potere, come poteva essere col governo Prodi. Berlusconi garantiva una ricchezza italo-italiana che equilibrava gli interessi di Germania e USA, ora conta essere amici della Cina e del suo fedele vassallo russo. 

 

La questione teorica è capire quali industrie/settori economici guidano la ricchezza di un paese e se questi sono interni o esogeni. Questo discorso lo si può applicare anche ad altri. L'ho imparato dalla lezione di Barbero sulla guerra civile americana: il sud agricolo dipendente dalle esportazioni di cotone vs il nordest industriale che voleva affrancarsi dalle industrie inglesi. A un certo punto, l’Ovest si schierò col Nord perché’ c’erano maggiori margini di crescita contro un sud agricolo ormai stagnante. Una dinamica simile con l’Italia unitaria, dove le élite industriali/liberali di Piemonte e Lombardo-Veneto videro un’opportunità di affrancarsi dall’arretratezza del sistema austro-ungarico e si portarono dietro il centro-sud dove vedevano margini di crescita per i loro interessi. In effetti, l’Italia riuscì a unirsi e il triangolo Milano-Genova-Torino divenne un centro di grande rilevanza. In Europa quali sono le industrie che guidano il consenso, tipo il settore auto in Germania che coi sindacati ha alimentato decenni di SPD o l'Italia di Prodi...

 

Tutto questo, serve infine capire che l'assenza di alternative a Meloni nasce dal fatto che non esiste una alternativa politico-economica e, se anche ci fosse, ormai l'Italia è talmente dipendente dall’estero, che viene bloccata. Lo dimostra come il presunto sovranismo non osi mai schierarsi contro le influenze cinesi o americane, un palese contrasto con l’ideologia autarchica dei fascisti originali. Chi ha interessi e risorse per creare una alternativa a Meloni? Se Schlein volesse essere un’alternativa, su quali settori socioeconomici dovrebbe puntare? Quale alternativa di sviluppo potrebbe promuovere? Brexit fu giustificata dall’idea che l’Europa non offriva più margini di crescita al Regno Unito, mentre Russia e Arabia sembravano molto più promettenti. Non sono sicuro che quella visione fosse corretta, ma di fatto vinse.

 

Ecco, la politica si può capire solo se intersecata a queste dinamiche socioeconomiche e non mi pare di dire niente di strano: quali sono le forze che oggi possono contrastare una politica stile Von De Leyen + Meloni?

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Bruxellando ovvero storie di una città nata dove una città non andava fatta.

27/10/24

Titolo ironico naturalmente, ma è vero che Bruxelles è stata costruita là dove una città non andava costruita. Sappiamo che gli antichi romani fondarono praticamente tutte le attuali città d’Europa, almeno quelle importanti, con pochissime eccezioni (tipo Madrid che infatti fu costruita dove faceva troppo caldo o quelle già costruite dai greci e altri prima di loro).

 

Dicevamo, Bruxelles non andava costruita li. I Romani costruirono quelle che oggi sono Halle e Vilvoorde, cioè due accampamenti a monte e a valle della Zenne. Bruxelles, se esisteva, era un villaggetto di campagna di poche persone, per lo più contadini gallici, che vivevano birra e vivevano vicino all’isoletta i Saint Gery che permette di passare facilmente da un lato all’altro della Zenne, che però già allora era un fiume paludoso, malsano e praticamente non navigabile.

 

Il nome Bruxelles viene scritto per la prima volta nel X secolo, molto tardi e quando l’impero romano era un mito passato ravvivato da certi franchi di passaggio. Bruxelles manco c’era e se c’era non si preoccupava certo della storia.

Come d’abitudine nel medioevo, esistevi se avevi una parrocchia o almeno una chiesetta. Bisogna dire, insegna il buon Barbero, che le chiese dell’epoca erano molto diverse da quello che vediamo oggi. I preti erano gli unici che sapevano leggere e scrivere, che avevano ricevuto una qualche educazione e di fatto amministravano le loro parrocchie. I vescovi medievali erano una sorta di sindaco che amministrava la città, eletti dalla gente con la ratifica del Papa che certamente non poteva stare a seguire tutte le nomine in giro per l’Europa, al massimo i più importanti ma poi era un ruolo importante perché le uniche leggi erano consolidate nella religione ché le amministrazioni, per farsi rispettare, avevano bisogno di Dio. Avvocati, magistrati e giuristi non c’erano (le guardie quelle sì, ma pochine che costavano molto più dei preti).

 

Bruxelles non esisteva per molti secoli. Ci sono tre probabili parrocchie all’inizio di Bruxelles, ma non ho trovato due storici che siano d’accordo su quale delle tre fosse la prima. Forse una parrocchia dove oggi c’è la cattedrale dei Santi Michele e Gudula che spiegherebbe perché mettere la cattedrale lì, in un punto tanto scomodo (che poi tanto la diocesi sta a Mechelen, ma questa storia verrà dopo). Forse San Nicola che da queste parti è il protettore dei commercianti e non a caso si trova dietro l’attuale borsa dove una volta c’era l’attracco del porto (oggi boulevard Anspach). Forse St. Gery dove però la chiesa è stata sostituita da un monastero che occuperà tutto l’isolotto, monastero ovviamente oggi distrutto e di cui resta solo la chiesa detta Riches Claires.

 

Dicevo che Bruxelles non andava costruita li. Se era facile seguire il corso della Zenne (oggi, il Boulevard Anspach) era troppo complicato il percorso trasversale: provate ad andare dalla Grand Place al palazzo reale, la salita rampa! Provate a farla in bici, provate a farla trainando un carretto spingendo il mulo su strade sterrate quando piove. Oltretutto, il terreno è friabile e per costruire la cattedrale si è dovuti andare più in là. Ancora oggi il Palazzo Reale è basso perché la collina tende a franare.

 

Bruxelles era indifendibile militarmente perché appunto non ci potevi costruire un castello in cima a quella collina. Il momento esemplare arriva nel XVII secolo quando l’esercito francese di Luigi XIV mandato a bombardare Ghent decide di prendere Bruxelles perché più prestigiosa. Si mettono sulle colline di quella che oggi è Berchem e iniziano a bombardare coi cannoni. Distruggono tutto, tutto. Nessun edificio precedente a quell’anno rimane in piedi, alcune chiese verranno ricostruite ma erano già state distrutte dalle guerre fra cattolici e protestanti (tutte tranne Notre Dame du Sablon perché era la Chiesa dei balestrieri, la guardia cittadina… sai com’è). Tutto distrutto.

 

Viene spontaneo chiedersi: ma perché Bruxelles non si è difesa? Premesso che alla fine Bruxelles resiste e vince, il forte di Bruxelles era costruito circa dove oggi c’è la gare du Midi, cioè in fondo alla valle. Non c’è bisogno di aver visto Star Wars per capire che se io sono in cima alla collina e tu sotto la collina, io ti bombardo più facilmente e i tuoi cannoni fanno fatica a arrivare qui sopra. Siamo alle basi della balistica, dai…

 

Bruxelles indifendibile, friabile nelle sue colline e facilmente allagabile. Tutti i nomi che finiscono per -beek indicano infatti dei fiumi o, meglio, dei torrenti. Piena d’acqua questa città e però acqua paludosa che non scorre bene, erode le colline lasciandole friabili in un mix che piace tanto ai geologi, ma fa impazzire gli ingegneri. Si fa la birra ché così c’è qualcosa da bere, l’alcol uccide i batteri e più la gradazione è alta, più ne uccide.

 

La birra, ovvero pane fermentato dice un mio amico. Il pane, la Broodhuys che in antico leuvener significa la casa del pane. È quel palazzo che trovate davanti alla Grand’ Place, molto bello. C’è il museo della città. È il segreto del successo della città. Nel XIII secolo, il Duca del Brabante lo fa costruire e dice che tutto il pane della città può, deve essere venduto solo lì, sotto il suo controllo. Il Duca si arricchisce, ma la cosa funziona talmente bene che sposta la capitale da Lovanium a Bruxelles. Funziona!

 

Qui c’è il pane, la piazza del mercato, si trova un punto dove costruire una cattedrale e un palazzo che poi sarà imperiale.

 

Ecco, per oggi mi fermo qui, fra frammenti incompleti di una storia raccontata fra il serio e il faceto. Qui dove una città non andava costruita; qui dove vivo da ormai ben più di dieci anni. Ah, dimenticavo: sapete cosa vuol dire Bruxelles? Nessuno lo sa con precisione, ma è qualcosa tipo “la chiesa nella palude”, “la casa nella palude”, “l’oratorio nella palude”, beh… avete capito. Chi mai costruirebbe una città in una palude? Ci siamo.

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Di luoghi e storia

20/04/23

Due luoghi legati alla mia famiglia per ragioni diverse mi han fatto conoscere due eventi storici che dicono molto della situazione attuale. 

Fornovo val di Taro, 6 luglio 1495
Il Re di Francia Carlo VIII sta tornando in patria dopo aver saccheggiato Roma. L'Italia, allora potentissima sotto ogni punto di vista, si è dimostrata divisa e incapace di organizzarsi per difendere il Papa, autorità fondamentale per l'epoca. 
Milano e Venezia guidano una coalizione che vuole metterci una pezza perché ha capito l'errore e aspettano i francesi a Fornovo, dopo che hanno attraversato il passo della Cisa. 
La coalizione italiana vince, più o meno. I francesi perdono il bottino ma si salvano e scappano. La battaglia dura poche ore, ma entra nella storia perché per la prima volta i francesi usano i cannoni in una battaglia campale, prima di allora erano stati usati solo per gli assedi. Se l'esito della battaglia non è chiaro, la notizia è che gli italiani appaiono per la prima volta da secoli come vulnerabili, divisi e senza leader. 

Battaglia di Pavia, 24 febbraio 1525
I francesi di re Francesco I assediano Pavia che sta per cadere quando l'esercito imperiale arriva per spezzare l'assedio. Gli eserciti in campo si equivalgono con circa 30.000 uomini a testa e simili dotazioni di cavalli, cannoni e altri armamenti.
Malgrado questo equilibrio sulla carta, gli eserciti imperiali stravincono e arrivano addirittura a catturare il Re di Francia. La battaglia entra nella storia perché, per la prima volta, le armi da fuoco diventano il centro della strategia militare. Nei 30 anni precedenti venivano già usate (vd. la battaglia di Fornovo con i primi cannoni), ma ora diventano il centro dell'esercito.

Questi episodi, che qui ho descritto sommariamente (ma che trovate con tanti dettagli su Wikipedia) raccontano di una rivoluzione tecnologica tipo quella che vediamo oggi con l'intelligenza artificiale. 

Lezione 1.
C'è bisogno di uno stato grande con massa critica per poter permettersi i cannoni. Le signorie italiane potevano avere i migliori cavalieri e mercenari, ma i francesi e l'impero hanno i cannoni e gli archibugi che costano ma su cui ci sono evidenti economie di scala. 

Lezione 2.
Magari non capisci subito l'importanza di una tecnologia come le armi da sparo (Fornovo), ma intuisci che bisogna investire in quella direzione perché il primo che impara a usarla vince la ben piu' importante battaglia di Pavia. L'intelligenza artificiale sono le nuove armi da fuoco e non ci vorranno 30 anni per vederne gli effetti. 

Lezione 3.
Le battaglie venivano combattute in Italia perché era ricca e quindi si poteva ambire a ottimi bottini da parte di quegli Stati che avevano le tecnologie e le risorse per utilizzarle. Non a caso, l'Italia avrà un declino inesorabile a partire dal XVII secolo. L'Europa è quel mercato ricco su cui altri competono con tecnologie che non abbiamo e non sappiamo usare. Ma siamo anche divisi e ci difendiamo a Fornovo solo dopo che i francesi hanno saccheggiato Roma.

Ora bisogna cercare le giuste analogie, similitudini e differenze, ma conoscere la storia aiuta. 

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D'un'ultima volta

23/06/21

Quando scesi dal palco per l'ultima volta sapevo che sapevo stata l'ultima. 

Non sapevo che poi sarebbe scoppiata tutta 'sta pandemia che, fra le troppe vittime, ha pure il teatro. Eppure, quello spettacolo in nederlandese era il raggiungimento dell'ultimo obiettivo che mi ero dato dopo che avevo già deciso da tempo di smettere. Avevo già avuto una pausa di tre anni e mezzo da spettacoli, anni spesi a portare gli altri sul palco. Lavorando sempre per aiutare gli altri a stare sotto i riflettori, ho realizzato che il teatro, e l'improvvisazione in particolare, é un percorso di crescita umana incredibile che, lo ripeto provocatoriamente spesso, andrebbe reso obbligatorio per tutti. 

Credo, a costo di dissentire con qualche caro amico, che l'improvvisazione abbia dei limiti artistici importanti, ma il valore per la cresciuta umana di chi la pratica é inestimabile. Ammiro i miei maestri non tanto per le qualità artistiche, ma per l'insegnamento umano che ho ricevuto. Invito tutti a fare corsi di improvvisazione teatrale come forma di crescita personale. Quel progetto durato 7 bellissimi anni ora é finito, anche se la pandemia ci ha impedito di farne un degno funerale. Mi riprometto di scriverci un libro, ma conoscendomi avrei bisogno di un aiuto che magari troverò proprio qui. 

Quando qui a Bruxelles gli spettacoli all'aperto son ricominciati, mio figlio grande mi ha chiesto se recitavo, ma gli ho risposto che non sarei mai più salito su un palco. Ovviamente, stamattina avevo già cambiato idea e la voglia di trovarmi davanti a un pubblico divertendomi con gli amici era gia' tornata. Ci vorrà un po' perché accada veramente, ma é una questione di crescita personale. 

Dopo questi mesi di confinamento credo possa essere un bisogno non solo mio. Abbiamo bisogno di ritrovare fisicità oltre questi ormai insopportabili schermi. 


Grazie per chi c'era, per chi c'è e per chi ci sarà. 

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26/08/20

 

c’è che quando non ci si diverte più, bisogna cambiare.

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come le dita di una manina

27/01/20

5 anni fa mi ritrovai in braccio un pupattolo e la mia prima parola fu "meraviglia!".
Ora che sono passati tanti anni quanto le dita di quella manina dovrei forse scrivere qualcosa di incredibile.
Invece, mi rendo conto che la vera meraviglia é ogni giorno e che una foto o una parola faticano a renderne conto.

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Serio ma non troppo

05/12/17

Da quando sono diventato papà, ho capito molte cose della politica realizzando che ci sono sorprendenti analogie fra il rapporto genitori/figli e governo/popolo.

Il figlio/popolo si attacca a cose che a noi genitori/governi sembrano futili e inutili come il ciuccio/il calcio, ma glieli lasciamo per quieto vivere/costruire consenso. Quando poi il ciuccio si perde/l'Italia non va ai mondiali ne esce una tragedia che devi gestire, in qualche modo. 

I genitori/il governo sono soliti fare dei regali ai figli/il popolo, specialmente in occasioni speciali come il Natale/le elezioni.

I figli/popoli possono diventare amici di altri figli/popoli, ma questo generalmente accade solo quando i genitori/governi lo sono già, altrimenti niente. Sono passati i tempi in cui i genitori/governi potevano decidere del matrimonio dei figli/delle spartizioni territoriali. Ora c'è questa idea della libertà di matrimonio/principio di autodeterminazione dei popoli. E dire che lo facevamo per il loro bene....

Non è che bisogna sempre dire tutto ai figli/popoli, talvolta per fargli una bella sorpresa o non alimentare delusioni. Per esempio, quando la maestra d'asilo di mio figlio/la diva tanto amata dal mio popolo scompare per tre settimane conviene non alimentare troppo la speranza di un suo ritorno, così quando tornerà sarà una splendida sorpresa, ma se non dovesse tornare per una qualunque ragione... e vabbe!

I figli/popoli spesso affezionano moltissimo a figure del passato come i nonni/i vecchi governanti. Bisogna alimentare questo sentimento positivo, almeno finché i nonni/governanti stanno dalla parte degli attuali genitori/governo.

È possibile che ci sia dissenso fra i genitori/dentro al governo, ma bisogna evitare assolutamente che i figli/il popolo se ne approfitti.

I genitori/governo amano i loro figli/popolo e ancora di più amano la loro condizione per cui faranno di tutti per mantenerla. 

I figli/popoli talvolta disobbediscono, soprattutto quando sono stanchi. Per questo è bene che vadano a letto presto/che ci rieleggano presto senza ulteriori discussioni. 

È importante dare ai figli/al popolo la libertà di scelta, per esempio su cosa leggere, ma sempre all'interno di una lista predefinita dai genitori/governo. Talvolta però succede che fonti esterne ed incontrollate tipo svelino ai figli/al popolo l'esistenza di cose tipo Peppa Pig/Paradise Papers (curiosamente entrambi PP...). In tal caso bisogna minimizzare, occultare e farli dimenticare in fretta per non correre il rischio che i figli/il popolo ne chieda ancora. 

I figli/popoli spesso esprimono una passione smodata per robe tipo le macchinine/le macchine. Se ne accumulano talmente tante che i genitori/governi non sanno più come muoversi, ma per quieto vivere continuiamo a fargliene comprare.

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piccole cose

27/07/16

Parlavo ieri ad un amico di questo blog che ultimamente trascuro, decisamente. Oggi qualche piccola modifica di grafica perché lavoravo sui tipi di font da utilizzare, ma poca roba. Intanto, però, festeggiamo i 18 mesi dal 1500 post.
:-D

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Dell'improvvisazione

15/11/15

Mi piace raccontare storie. Io non sono molto bravo, non so far ridere. Mi piace farlo collettivamente, questo richiede teatro e improvvisazione. Mi piacciono le storie spesso surreali. Mi piacciono le storie che non sanno dove vanno e con una spallata o un soffio sbandano e vanno dove nessuno lo sa. Dove io non so, anche se ne sono un attore.

Mi piacciono le storie, surreali e divertenti, immaginare o drammatiche. Mi piace raccontarle per il gusto di raccontare. Il gusto di avere qualcuno che ti ascolta pendendo dalle tue labbra mentre cerchi di allungarla ancora un po' per il gusto di raccontarla. Vorrei poterne raccontare ancora di più di quelle che posso.

Mi piace condividere questa passione e insegnarlo agli altri. Mi piace che piaccia agli altri raccontare le storie. Mi piace condividere questo piacere. Insegnare un piacere ché la natura certe cose non ce le ha donate. Mi piace perché a me l'hanno insegnato, anche se il piacere già lo provavo.

Ricordo come fosse ieri che sceso dal palco la mia migliore amica mi disse che anch'io, che non sono un comico, ero riuscito a ottenere applausi a scena aperta per un paio di battute fulminanti. Anche questo è piacere. Non sono un comico, ma far ridere fa sempre piacere. Glutine, ti ci vorrebbe del glutine!

Ora lo faccio in inglese che qualche difficoltà me la pone, ma aiuta a affrontarne altre. Io non so che altre storie racconterò. Ce ne sono un paio che vorrei poter raccontare, ma per quelle avrei bisogno di un regista. Mi affascinano moltissimo Dario Fo, Paolo Rossi e Ascanio Celestini. Sogno che una di quelle mie storie sia un giorno raccontata da uno di loro. Sogno di essere su un palco con uno di loro. Mi capitò di essere su un palco con Giulio Cavalli, ma era per un'altra ragione, tutt'altro che teatrale. Magari...

Nutritemi di storie. Non alla saturazione che certe storie è bello viverle e riviverle, raccontarle e ri-raccontarle, raccontarcele e discuterne. Vengo da un arido mondo di ricerca con introduction, literature review, hypothesis, methodology, empirical analysis, conclusions, reference. Voglio storie che mi sorprendano portandomi dove non pensavo di arrivare. Non amo i treni pendolari, sempre la stessa strada, ma i pendolari mi piacciono già di più perché ogni volta re-inventano un percorso con nuove interazioni, nuovi amori ed una vita che scorre ai lati del treno ed ecco che già all'improvviso emerge una nuova storia...

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su quell'aereo

16/07/15

Volto delle 8h30 del mattino. Sveglia presto per check-in, boarding e metal detector, che se non parli inglese non sai a cosa vai incontro. Se parli inglese capisci che è solo noioso. Ritardo. Poi imbarcati e sbarcati. Finestrino rotto. Dodici ore di ritardo. Trasferimento da Malpensa a Linate. Caldo. Confusione. Non sapevamo che fare, se non seguire quanto ci veniva detto.

Dopo poco, eravamo una sorta di popolo di Lost. Ci conoscevamo, ognuno con la sua storia passata ed una totalmente diversa presente. Un presente dove eravamo solo noi. Dei passati che restavano con noi, lontani chissà quanto. Un mix di lingue, sorrisi, sguardi, storie, attese, aspettative, relazioni.

Poi, come d'incanto... il volo, l'atterraggio, tutto finito.

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millecinquecentesimo

28/01/15

Il post numero 1500 lo riservo per una occasione speciale. Diciamo che mentre lo scrivevo succedevano i fatti terribili di Charlie Hebdo su cui trovo illuminanti e profetiche le parole di Sant'Agostino. Dico questo perché anche il contesto conta, eccome.

Beh, avevo promesso un post importante e quindi eccoci qui ad annunciare... no dai, è ancora presto per annunciarlo, mettiamo qualche altra premessa... Beh, diciamo che è uno di quei post che non sai mai come scrivere, non sai mai da dove iniziare né come trovare le parole giuste. Aver iniziato da Sant'Agostino è un buon modo, ma non mi aiuta ad arrivare al punto.

Diciamo semplicemente che questo post inizia nove mesi fa, per cui avrete già capito il punto di arrivo. Ma ci arriverò con calma che certe cose vanno attese con cura, amore e pazienza. Non siamo mica qui a far miracoli! Beh, in parte sì...

Ecco, ora lo dico tutto: la prima parte di questo post me l'ero preparata prima e ora che c'è un fiocco azzurro in questo Ducato sono talmente stanco che mi sa che chiuderò qui senza tirarla troppo per le lunghe. Ebbene sì, un piccolo frugoletto ora allieterà questo Ducato.

La prima notizia è che stasera si è addormentato sulla mia ninna nanna: prima grande soddisfazione!

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Il giudizio deve essere chiaro

08/04/13

Parto da questo bell'intervento di Prodi, a mio avviso molto lucido, sintetico e ben fatto (malgrado un giornalista malizioso che cercava di mettergli in bocca cose che non stava dicendo).

La pietà umana per la scomparsa di Margaret Thatcher non deve confondersi col giudizio storico-politico. Mi viene in mente un'analogia che è anche una provocazione: credo che la Thatcher stia a questa crisi che stiamo vivendo, come Lenin sta al Comunismo. Sia chiaro, questa crisi non è comparabile con il Comunismo perché sono troppe le differenze, ma quello che voglio dire è che c'è un'analogia tra leader politici che incarnano, rappresentano ed ispirano movimenti politici ben più grandi di loro, di cui probabilmente non sono neanche consapevoli. I morti del Comunismo paragonati ai disoccupati e precari del liberismo thatcheriano? Sì, la mia è una provocazione che non vuol dire che morti e disoccupati siano la stessa cosa, non voglio certo metterli sullo stesso piano.

Voglio dire che un'ideologia come quella comunista o quella liberista sono state implementate attraverso leader politici come Lenin o Thatcher, ognuno sulla propria posizione. Ogni ideologia applicata in maniera così integrale partendo da presupposti così rigidi finisce per creare più danni che altro. Esiste anche una differenza da sottolineare: una cosa sono i teorici pensatori di un'ideologia, un'altra sono i politici che la mettono in pratica. Esiste un passaggio fondamentale da Marx a Lenin perché Marx non fece mai una rivoluzione e non si trovò mai a dover dirigere uno Stato, Lenin sì. Similmente, Margaret Thatcher applicò l'ideologia liberista così come Lenin applicò quella comunista.

I risultati li conosciamo. 

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Sapori natalizi

28/12/12

Il Caffé, bevuto ancora in pigiama quando già l'orologio indica le 9, è un sapore natalizio, il sapore di vacanza casalinga con la doccia che può aspettare. Un sapore caldo, poi tiepido e che infine lascia i suoi segni sul fondo della tazzina. Il telefono silenzioso ed il computer qui davanti a me con quei compiti delle vacanze che stento a voler fare, ritardo.

Il Natale è anche la vacanza, il riposo, per quanto di questi tempi non ce lo si dovrebbe permettere. Eppure, mio malgrado, è il segno di un'umanità cui non voglio rinunciare, sempre che restar solo in una stanza con una tazzina di caffé vuota di fianco possa considerarsi un atto umanizzante.

Probabilmente, di tutto questo non resterà granché tra 5 anni, se non il sentore di casa ché pure tra 5 anni non so in che casa sarò a passare il Natale.

Ricordo anni fa che studiavo uno degli esami più belli della mia carriera: analisi delle politiche pubbliche. Un grande tomo pieno di fotocopie era il testo preparato da un grande docente ché ormai non c'è più, e me ne rammarico. Lo studiavo nel Natale in cui morì mia nonna con addosso un assurdo maglione tutto peloso e la stessa atmosfera di caffé, ma forse non sapevo allora apprezzare tutto quello.

Guardo l'orologio e sento il richiamo al dovere. Ancora una mail a un amico che vorrei poter rivedere presto, una sbirciatina alla Gazzetta come ultimo pretesto per rinviare il lavoro. Eppure, se arrivi alla Gazzetta, capisci che non hai più scuse e proprio devi iniziare a lavorare.

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Ricordi

12/12/12

Sono appena tornato dalla mia amata Scozia dove sono andato per una conferenza di un paio di giorni. Glasgow non è certo Edinburgh, ma l'emozione è la stessa. Mi ha colpito soprattutto veder riaffiorare ogni minimo ricordo, dettaglio, persona ed emozione. Tantissime cose belle, qualche cosa brutta ché anche quelle ci sono state, il tutto avvolto di un'area magica in un paesaggio veramente magico.

Potrei raccontare ogni storia di quell'estate e ricordare l'emozione per ogni paesaggio, via, strada, collina. Le risate, soprattutto quelle. E poco importa che voi non capireste, poco importa che io abbia mitizzato quell'estate e quel luogo. Poco m'importa che la Scozia sia più reale e materiale di quanto io non l'abbia riconosciuta. Ho riconosciuto le linee delle sue montagne, ho scoperto che a Dicembre ai cavalli mettono su un "vestito" tipo quello per i cani, ma molto più elegante come si addice ai cavalli. Gli mettono questo vestito perché fa obiettivamente freddo e non capisco come certi ragazzi potessero girare con giusto una felpa, io che con maglione e piumino avevo freddo.

La Scozia è bella nella sua natura brulla, nelle sue architetture assolutamente affascinanti e, soprattutto, nella sua gente. Arrivato nel centro di Glasgow ero perso per prendere la metrò verso l'hotel. Appena sbagliavo, c'era subito qualcuno pronto ad aiutarmi perché vedendomi in difficoltà arrivavano a darmi indicazioni aiutandomi per quel che potevano. Già, quel che potevano perché alcuni di loro avevano un accento che a fatica capivo "left" or "right", figuriamoci quando hanno iniziato a spiegarmi certi complicati percorsi... Vabbé, però anche questo è la Scozia e in treno, tornando verso l'aeroporto, ho chiacchierato con una coppia incurante del fatto che di lui capissi un ottimo 20% di quel che dicevo e lei era praticamente zitta. Anche questa è la Scozia con i suoi paesaggi brulli, ma fieramente strappati al meteo. Le sue ciminiere in lontananza ed una storia tutta loro, profonda, ricchissima e, soprattutto, da ammirare perché girare oggi per Glasgow con vestiti moderni e pensare a come dovessero stare anche solo 100 anni fa ti fa impressione. E poi MacIntosh e le sue architetture. E poi il pesantissimo cibo scozzese che a colazione mangiano le peggio cose. E poi gli slums di Glasgow. E poi gli ottimi ristoranti ed i negozi ed il mercatino di Natale. E poi e poi e poi...

Tutto torna a quell'estate ed a come mi sia rimasta impressa nella mente, nei gesti e nei sorrisi delle persone, gli incontri casuali, gli errori e le disavventure, le risate e le lezioni di inglese, pardon, di scozzese. Già, la Scozia, terra bellissima da visitare e ricordare, forse non da vivere ché altrimenti questo luogo magico perderebbe la sua magia. O forse la alimenterebbe ulteriormente o forse no e allora non so.

Silente, come le campagne scozzesi, mi riavvio verso il mondo ordinario.

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Oggi

11/09/12

A furia di liberarci dalle ideologie del XX secolo, il XXI secolo è rimasto senza idee.

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In vista del concerto di Capossela

10/05/12

Non so mai come ci si dovrebbe preparare per un concerto tanto atteso. Mentre ci pensavo canticchiando le sue canzoni sul mare, camminavo per le Cliffs of Moher con questo interrogativo quando incontro un bimbo che fa i capricci col nonno. In un misto di inglese e gaelico, il nonno mi spiega che il nipotino è deluso perché l'ultima balena l'aveva già letta. "Excuse me?!". Sì, l'ultima balena passata per le Cliffs il nipotino l'aveva già letta e voleva un altro capitolo della storia del mondo, oltretutto era un capitolo interlocutorio dove c'erano poche cose entusiasmanti.

Rimango perplesso e avanzo lungo il cammino che porta al Monte Calamita con le scogliere che si gettano nel mio Mediterraneo. Tutt'altra roba, ché qui anche il vento più impervio finisce per essere un dolce abbraccio materno. Sulla strada polverosa che il Comune ha appena fatto risistemare, una mulatta piena di anelli canta e balla qualcosa in un qualche dialetto che non capisco. Mi fermo ad ascoltare quantomeno la ritmica ed i piedi nudi che ballano su quella strada polverosa e piena di sassolini. Mi chiedo come faccia. Mi fa anche l'occhiolino ammiccante e la cosa intriga per il fascino che trasmette, ma poi la vedo fare lo stesso occhiolino agli altri passanti e capisco che è tempo di andare oltre.

Attraverso la foresta di Algonquin e mi ritrovo ora in città a camminare tra vari canali piccoli e grandi. Costeggio la Zenna tra i cantieri e le acque sporche, a sinistra, l'Izèr ancora sporco di sangue mentre più in là i grandi viali di Mosa e Schelda sono tutti un brulicare di gente che allegramente si dirige verso il grande porto di Anversa cantando. Nella folla, il bimbo delle Cliffs of Moher mi riconosce, si avvicina e mi suggerisce di andare a farmi una pioggia ché le sirene stanno arrivando.

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Come un interrogativo aperto.

02/05/12

Ultimamente, tre concetti mi affascinano. Due sono collegati tra loro, il terzo assomiglia a uno dei due. Mentre scrivo ne è arrivato un quarto.

I primi due concetti sono quelli di droga e medicina. Una droga dà un piacere immediato, ma alla lunga fa male. Viceversa, la medicina è per definizione cattiva, ma ti permette di star bene poi. Antitetici, complementari e integrativi, questi concetti in realtà non si combinano facilmente: conoscete forse medicine che compensino le droghe? Non credo proprio... Al più, esistono medicine che invitano a far smettere l'uso di droghe oppure droghe che si sostituiscono alle medicine, ma non vedo come queste cose si possano combinare.

Il terzo concetto è legato al giardinaggio ed alla cura delle piante. Seminare, piantare, lavorare la poca terra di un vaso nella speranza che esca il fiore e, una volta uscito, che ne spunti un altro ancora. Non è roba da poco, alcuni bravissimi nel farlo, molti incapaci. Io appartengo più probabilmente alla seconda categoria, ma avendo pochissima pratica posso dire che i casi di insuccesso siano molto limitati.

Il quarto concetto è più profondo ed affascinante: rigenerarsi. Innanzitutto, devo dire che traggo questo concetto da questo libro che ho iniziato a leggere e che, dopo appena 20 pagine, già mi sento di consigliarvi. Rigenerarsi è un fenomeno che conosciamo bene: quando ci rompiamo un osso, l'osso inizia a riformarsi curandosi da solo, senza che noi si debba fare niente. Affascinante, vero?

Bene, offre questi quattro concetti per una libera riflessione. Come un interrogativo aperto.

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Oggi

18/04/12

Dove lavoro, ogni mese viene mandata una mail con arrivi e partenze, trasferimenti e promozioni, maternità e pensioni. La manda la collega finlandese ed è una sorta di bollettino ufficiale dei nuovi nati, deceduti, matrimoni e trasferiti.

Nell'ultima email mandata, alla voce partenza c'era il mio nome, il mio ufficio e la mia unità. E la data di oggi.
Da quando l'ha mandata, il primo effetto è stato che continuavo a ricevere visite per due chiacchiere nel mio ufficio dove, generalmente, nessuno passa. Il mio ufficio è sull'altro lato dell'edificio e se non vuoi, non ci passi. Da quando la finlandese ha mandato la mail, almeno un passaggio al giorno: avrei dovuto mettere un ticket. Anzi, mettermi d'accordo con la finlandese e mandare più email... ok ok, la smetto.
Da quando la finlandese ha mandato la mail col mio nome, non mi pago più un caffé e tutti mi offrono. Fa piacere, eccetto per il medico che dice che sto esagerando coi caffé. Fa piacere vedere la collega tedesca che si è un po' sciolta nonostante sia la più timida del gruppo, la fiamminga che ride di più e la greca che - a tratti - esagera perché ogni pretesto è buono per offrirmi dolcetti, cioccolata e quant'altro. Ah, già, non ho detto che la greca è la golosa del gruppo. E così via...

In questi giorni, passare le consegne alla collega che ritorna dalla maternità ha raddoppiato il carico di lavoro e sto letteralmente impazzendo. E' due giorni che torno a casa stravolto perché questo si somma a tutto quanto di cui sopra.

Cammino come uno zombie che tutti salutano anche se ha un dossier urgente da consegnare. Cammino sorridendo un po' malinconico. Devo dire che quest'esperienza m'ha segnato insegnandomi l'importanza di un buon ambiente di lavoro, delle relazioni con le persone al di là della difficoltà di certi dossier, della pressione imposta da chi ti sta sopra, della difficoltà di capire cosa c'è da fare. Ma i colleghi esperti sanno capire di cosa bisogna preoccuparsi e di cosa no, quelli più giovani ti capiscono e capiscono che aiutarsi è il modo migliore per uscirne assieme senza impazzire.

Infine, son contento. Io posso dire di aver realizzato un altro dei sogni del cassetto che avevo e stasera uscirò da quell'ufficio a testa alta. Io, contento.

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e poi Noi

25/03/12

Noi, ogni tanto, finiamo per ritrovarci o, meglio, non ci siamo mai persi.
Noi siamo gente sentimentale, ma non ci concediamo mai ai sentimentalismi, se non sottovoce e lontano dai riflettori.
Noi siamo uomini, maschi, tutti con età ormai attorno ai trenta. Ma eravamo uomini di 20 o 25 anni.
Noi ci siamo conosciuti lavorando per l'altro, ma non l'uno per l'altro.
Noi non ci saremmo mai fatti chiamare come un 'noi', anche se in fondo lo sapevamo che eravamo noi.
Noi eravamo maschi, ma con le donne non ci provavamo: noi ci innamoravamo delle ragazze. E infatti quando Noi eravamo Noi con le ragazze non avevamo successo, ma Noi abbiamo imparato anche quello.
Noi avevamo pochissime ragazze attorno: alcune erano come noi e quindi non ci se ne poteva innamorare, almeno non allora. Ora, per alcuni, quello è successo e Noi ne siamo contenti. Ma Noi avevamo ragazze di cui ci innamoravamo che non erano come Noi e forse, per questo, non funzionava mai.
Noi avevamo ideali, parole e pensieri, ma Noi eravamo Noi perchè abbiamo fatto tanto insieme.
Noi abbiamo avuto grandi idee, abbiamo pensato grandi cose, abbiamo progetttato un mondo nuovo e, silenziosamente, l'abbiamo realizzato.
Ora, Noi siamo tutti dispersi, lontanissimi da quella realtà. Chi ha provato a seguirla, diciamo che non ha avuto grandi soddisfazioni. La maggior parte di Noi è altrove, dove lo sa ognuno di Noi.
Noi avevamo tanta teoria, tanti discorsi, ma ancora più azione. A ripensarci oggi eravamo incredibilmente concreti e pragmatici Noi che pure avevamo tantissimi limiti, tanti errori e tante cose di cui non ci rendevamo conto.
Noi siamo quell'Italia migliore che l'Italia non ha saputo valorizzare, almeno io la penso così e in questo ci si rende conto che quel Noi non esiste più.
Da Bruxelles a Eindhoven, da Merate a Pescara, da Vimercate a Boston, Noi siam quelli là. No, nessun palco tra sogno o realtà, quella non è la nostra storia.
Noi siamo gente che non dirà mai di essere un Noi ché Noi non avevamo confini.
Ognuno di Noi aveva una sua storia ed a quella non rinuncerà mai e non saremo mai sentimentali abbastanza da ammettere che saremo stati un Noi.
Noi prendevamo in giro Max Pezzali e le sue canzoni, ma in fondo oggi gli daremmo ragione.
Noi sognavamo di diventare aggettivi. Lo so che può sembrare assurdo, ma questo è vero e di questo ridevamo.
A Noi nessuna canzone ci canterà mai, nessun libro racconterà le nostre storie e non credo che andranno a raccontare queste storie che pure, Noi, noi vorremo raccontare ai nostri nipotini.
A Noi il tempo ha portato lontano, ma più nello spazio ché non ne nella carriera perché Noi, carrieristi e arrivisti non lo saremo mai.
Noi bravi ragazzi, Noi impegnati, Noi sicuramente di Sinistra e sicuramente politecnici ché non avremmo mai potuto essere altro. No, niente arte chè quella la nascondevamo dietro una finta serietà e l'arte, se necessario, la si usava per cercare di far colpo su quella ragazza che, in fondo, Noi sapevamo che non ci sarebbe mai stata. Ma Noi sapevamo prenderla con filosofia.

Io so che tutto questo riferirsi a un Noi... beh, so che gli altri non saranno d'accordo visto che, in fondo, ognuno di Noi è sempre stato profondamente diverso e fiero della sua diversità ché il Comunismo non faceva per noi e anche come comunella abbiamo sempre lasciato a desiderare...
Io so benissimo a chi mi riferisco, chi saprà riconoscersi e chi no. Io so benissimo chi sono i Noi che il tempo ha portato lontano e poi so che Noi non ci ritroveremo come delle star. In cuor mio, son convinto che in quel Noi ci fosse un enorme potenziale e ammetto di sognare di poter trovare un modo di far sì che quel Noi porti avanti la sua missione grande che Noi abbiamo sognato, immaginato e pensato.

Sì, ecco, questo volevo raccontare ché di quel Noi io son sempre stato quello forse più romantico e malinconico. In buona compagnia, si intende, ma Noi i sentimentalismi li abbiamo sempre tenuti per un altrove, mai per Noi.

PS
Tutta questa storia non verrà riletta e non credo ci sarà mai bisogno di rileggerla. Piuttosto, riprenderemo in mano gli appunti dell'università per il prossimo esame da sostenere e, improvvisamente, capiremo di quali lezioni abbiamo imparato, ma poi Noi capiremo che certe lezioni le impari solo se poi ci sei dentro. Inutile star qui ora a profetizzare per gli altri, non saremmo più Noi. Però imparare e, questo sì, spingere affinché anche gli altri imparino lì dove Noi abbiamo imparato, ma ad ognuno la sua lezione, il suo futuro e, soprattutto, ad ognuno il suo Noi.

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curiosi litigi

21/03/12

Due clochard all'angolo litigano su chi ha il diritto di star lì quel giorno a fare l'elemosina: uno belga l'altro congolese. In genere, lì c'è quello belga (un giovane ragazzo bianco), ma non tutti i giorni. Il congolese lo vedo di rado. Quel giorno c'erano tutt'e due.

E' una storia di qualche mese fa che mi è tornata in mente ora.

I due litigano su chi abbia il diritto di star lì, ma gli argomenti che usano sono: "noi siam venuti a salvarvi durante la Guerra! Altrimenti avreste perso contro i tedeschi!" dice il congolese. "Noi abbiamo costruito uno stato sociale e in America vi abbiamo dato tutti i diritti" ribatte il belga.

Io poi me ne sono dovuto andare mentre il tono della discussione diventava sempre più acceso, ma ero a dir poco sorpreso di come questi fossero gli argomenti di litigio tra clochard. Fossi rimasto, sarei curioso di sapere cosa ne dicevano di Heidegger e Schopenhauer...

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