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Parliamo di politica e dinamiche socioeconomiche.

10/07/25

 Prendiamo il caso del governo Meloni in Italia. Mi pare chiaro che sia basato sul mantenere il consenso di USA di Trump come ideologia, insieme all’amicizia per la Cina perché è da questi due paesi che deriva l'attuale ricchezza dell’Italia, almeno del suo ceto dirigente. Di certo non dalla Germania, che può permettersi di essere autonoma, né dalla Francia che conta sempre meno. L’Europa non è più uno spazio economico di riferimento che possa promettere grandi margini di crescita per l’Italia, allora meglio essere vassalli privilegiati di USA e Cina. Una ricchezza esogena perché tanto la domanda interna non sostiene l’Italia più da tempo. Il mercato europeo non promette né garantisce a un'elise italiana di restare al potere, come poteva essere col governo Prodi. Berlusconi garantiva una ricchezza italo-italiana che equilibrava gli interessi di Germania e USA, ora conta essere amici della Cina e del suo fedele vassallo russo. 

 

La questione teorica è capire quali industrie/settori economici guidano la ricchezza di un paese e se questi sono interni o esogeni. Questo discorso lo si può applicare anche ad altri. L'ho imparato dalla lezione di Barbero sulla guerra civile americana: il sud agricolo dipendente dalle esportazioni di cotone vs il nordest industriale che voleva affrancarsi dalle industrie inglesi. A un certo punto, l’Ovest si schierò col Nord perché’ c’erano maggiori margini di crescita contro un sud agricolo ormai stagnante. Una dinamica simile con l’Italia unitaria, dove le élite industriali/liberali di Piemonte e Lombardo-Veneto videro un’opportunità di affrancarsi dall’arretratezza del sistema austro-ungarico e si portarono dietro il centro-sud dove vedevano margini di crescita per i loro interessi. In effetti, l’Italia riuscì a unirsi e il triangolo Milano-Genova-Torino divenne un centro di grande rilevanza. In Europa quali sono le industrie che guidano il consenso, tipo il settore auto in Germania che coi sindacati ha alimentato decenni di SPD o l'Italia di Prodi...

 

Tutto questo, serve infine capire che l'assenza di alternative a Meloni nasce dal fatto che non esiste una alternativa politico-economica e, se anche ci fosse, ormai l'Italia è talmente dipendente dall’estero, che viene bloccata. Lo dimostra come il presunto sovranismo non osi mai schierarsi contro le influenze cinesi o americane, un palese contrasto con l’ideologia autarchica dei fascisti originali. Chi ha interessi e risorse per creare una alternativa a Meloni? Se Schlein volesse essere un’alternativa, su quali settori socioeconomici dovrebbe puntare? Quale alternativa di sviluppo potrebbe promuovere? Brexit fu giustificata dall’idea che l’Europa non offriva più margini di crescita al Regno Unito, mentre Russia e Arabia sembravano molto più promettenti. Non sono sicuro che quella visione fosse corretta, ma di fatto vinse.

 

Ecco, la politica si può capire solo se intersecata a queste dinamiche socioeconomiche e non mi pare di dire niente di strano: quali sono le forze che oggi possono contrastare una politica stile Von De Leyen + Meloni?

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Ragioni di preoccupazione

14/08/20

Ho il terrore che questa pandemia sia il colpo di grazia per l'economia italiana. 


L'Italia é cresciuta dal dopoguerra fino alla crisi degli anni 70 basandosi sul fatto che era il paese occidentale con la manodopera a piu' basso prezzo. Gli ingenti investimenti del Piano Marshall, giustificati dalla posizione strategica del BelPaese, permisero  all'Italia una rapida crescita, mai vista prima. Nel periodo monarchico, la crescita era concentrata di fatto in 3 regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria), dopo la guerra coinvolse un po' tutto il paese, seppur con evidenti disparita' per il ben noto problema del Mezzogiorno.


La crisi degli anni '70 e' stata sfangata svalutando e facendo debito negli anni '80 al fine di mantenere competitivita', mentre il resto dell'Occidente non poteva correre il rischio di perdersi l'Italia per strada sconvolta com'era da una latente guerra civile. Nel frattempo, pochi investimenti produttivi di lungo periodo avevano sostenuto una crescita che dagli anni '90 e' rimasta asfittica. Nuovi paesi erano diventati la frontiera occidentale della manodopera a basso costo (prima la Polonia, poi la Romania). Alcuni italiani hanno saputo approfittare dell'allargamento dell'Unione che Prodi aveva giustamente intuito. La crescita e' rimasta la meta' della media europea fino alla crisi finanziaria.


Il grafico della crisi innescata da Lehmann Brothers mostra un'Italia che cola a picco e ci rimane. Nessun rimbalzo, né immediato né ritardato. Dopo la caduta, una lenta risalita a un tasso mezzo rispetto al resto d'Europa. Ora la pandemia mentre il paese non si e' mai veramente ripreso. Non solo il Mezzogiorno e' sensibilmente peggiorato, ma ormai anche la Lombardia e' terra di emigrazione.


Ho paura che la pandemia condanni l'Italia (e la Spagna) ad una lunga sopravvivenza a se stessa. Qualche misura di solidarieta' in un paese in via di spopolamento, marginalizzazione, dipendenza. Insomma, l'Italia del XVII secolo. I soldi ricevuti dall'UE si scontrano con una mancanza di progettualita' economica per il paese. Le discussioni sono limitate a sconti fiscali, sussidi e liberta' di licenziamento, cassa integrazione e qualche strada. Nessun progetto di produttivita' economica.


Mi preoccupa perché gia' la mia generazione non ha potuto beneficiare di condizioni come quelle dei nostri genitori, ma qui rischia di aprirsi un si salvi chi puo'. Non stiamo parlando del Titanic che affonda, ma di Pisa che non si rende conto che l'Arno ha insabbiato la costa rendendo il suo porto obsoleto, al punto che tocca fondarne uno nuovo a Livorno. 

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di passaggio

20/11/18

Però ogni tanto anch'io vorrei sfogarmi su queste vicende politiche. Un po' come fanno quelli che danno addosso ai migranti o si azzuffano sul razzismo di Salvini. Vorrei prendermela con chi ha causato la 'Brexit' di scuola, università e ricerca in Italia riempiendosi la bocca di meritocrazia ed eccellenza. Vorrei prendermela con chi devasta territorio e ambiente minando la competitività e vivibilità del Belpaese e compromettendo le generazioni future. Vorrei prendermela con chi ha umiliato le istituzioni italiane e continua a umiliarle invece di creare un terreno comune perché si inizi a affrontare alcuni di questi problemi. Vorrei prendermela anche con quelli che stanno svilendo l'istituzione europea con scelte pessime, atteggiamenti irresponsabili e parole a vanvera. Vorrei poter dire che non condivido le scelte prese dall'UE senza essere tacciato di anti-europeismo.

 Invece, purtroppo, ogni pensiero un po' più complesso di "immigrati ladri" e "Salvini razzista" viene perso e disperso, confuso e deriso. Ecco, questo mi preoccupa. Abbiamo perso la capacità di un pensiero complesso che sappia affrontare la complessità di questi tempi. Questo crea frustrazione perché, poi, non vedo nessuno in giro che voglia confrontarsi con questa complessità.

 Ora, dopo aver scritto e condiviso tutto questo, torno a tacere.

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calcio e meritocrazia

10/01/16

Proseguendo sul tema della meritocrazia, ecco un'interessante analisi applicata al calcio. Fondamentalmente, da quando ci sono i diritti tv il fattore "fortuna" è venuto meno perché il divario di soldi è aumentato rendendo più prevedibili i risultati e, in fin dei conti, rendendo meno rischioso investire nel calcio. Questo a vantaggio di chi vuol investire, ma meno dei tifosi in senso generale. I supporter delle squadre che investono tanto sanno che hanno più probabilità di vincere, ma gli altri hanno sempre meno possibilità che la loro squadra sovverta le gerarchie economico-finanziarie.
In altre parole, se tifate per Milan-Inter-Juventus il sistema vi garantisce più soldi e meno rischio di perdere, infatti sono 20 anni che vincono solo queste tre squadre (con due eccezioni, Roma e Lazio, dove però la seconda fallì subito dopo aver vinto uno scudetto), guarda a casa da quando c'è la distribuzione dei diritti tv. E' una questione di quanto e come ricompensare il "merito" di aver vinto sul campo e se questo ricompensarlo non danneggi l'intero sistema a forza di effetti cumulativi. Pensateci, perché viviamo in un mondo di decisioni multiple e non singole, in un mondo di decisioni cumulative e non di una tantum.

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In un campo minato

18/10/15

Entro in un campo minato perché mi ci ritrovo. La discussione tutta italica sui vaccini è a mio avviso sorprendentemente superficiale e arenata sul vaccini sì/no, cosa che non mi piace per niente. Troppe fazioni stupidamente schierate che impediscono un dibattito un po' più "adulto" che, oltretutto mi riguarda anche in prima persona.
Premesso che sono tendenzialmente favorevole ai vaccini perché comunque sono stati un grande progresso per la storia umana, bisognerebbe fare qualche ragionamento un po' più avanzato per capire "quali" vaccini e perché c'è questo gran dibattito.

Punto primo. Perché ci sono vaccini obbligatori, consigliati, suggeriti e facoltativi? Perché lo Stato ne impone alcuni obbligatoriamente, mentre su altri lascia libertà di scelta? Perché alcuni sono rimborsati e altri no? Perché se, come sostengono i pro-vaccini, sono inequivocabilmente buoni allora lo stato non li impone per legge? E se c'è inconfutabile evidenza scientifica, perché le regole in Europa sono diverse da paese a paese, anche paesi con uguali livelli di sviluppo? Ecco che allora l'idea che una medicina che previene una malattia è sì cosa buona, ma forse non univoca.
Ecco, non sono domande triviali perché, per esempio, qui a Bruxelles abbiamo regole diverse per francofoni e nederlandofoni. Io sono molto restio a lasciare ai cittadini decisioni su questi temi: mi si dica cosa devo fare per la salute pubblica, ma non capisco sulla base di cosa io dovrei decidere su una materia come i vaccini. Mi spiace, ma questo liberismo mi pare pericoloso su un tema come i vaccini e per me non dovrebbe esserci libertà di scelta.

Secondo, esiste un argomento scientifico-economico perché comunque la medicina non è un blocco scientifico univoco e si mescola con le ragioni economiche. Allora, se c'è evidenza scientifica si fa un investimento pubblico di vaccinazione a tappeto, ma serve un'analisi costi-benefici al netto delle questioni epidemiologiche. Siamo tutti d'accordo che le medicine fanno bene, ma sarebbe opportuno portar avanti la discussione vaccino per vaccino. Purtroppo, è insopportabile l'idea di far di tutti i vaccini lo stesso fascio perché ognuno fa riferimento a malattie diverse. Per esempio, l'influenza aviaria si è rivelata una malattia che NON aveva bisogno di vaccini visto che aveva incidenza più bassa di un'ordinaria influenza, ma si è seminato un tale panico mediatico che ha generato un business economico ingiustificato. Un'autorità pubblica avrebbe dovuto cercare di prevenire questa cosa, soprattutto consapevole che i dati epidemiologici variano geograficamente.

Terzo, nel caso italiano la battaglia sui vaccini è invece una miserevole vicenda istituzionale a mio avviso assai becera. Il processo di regionalizzazione italiana ha affidato alle Regioni la competenza in materia, mentre il Governo Renzi vuole ricentralizzare anche la sanità al fine di svilire qualunque autonomia e qualunque potere decentrato. I vaccini, seminando il panico e riguardando i bambini, sono un tema comunicativamente ottimo per ottenere la ricentralizzazione delle politiche sanitarie. Peccato che in Italia abbiamo sia regioni che hanno ridotto il numero di vaccini obbligatori in nome della libera scelta (vedi punto uno) sia regioni che hanno introdotto piani vaccinali più estensivi di quelli statali (vedi punto due). Renzi vuole ricentralizzare tutto ed usa i vaccini come politica simbolica per annullare l'autonomia regionale.

Ecco chiudo qui il ragionamento consapevole di saperne troppo poco. Ho un solo auspicio, cerchiamo di andare oltre il vaccini sì/no, ma discutiamo dei diversi tipi di malattie, di costi e rischi relativi ad ogni malattie, delle vicende politiche ed economiche dietro ad ogni decisione. Io non sono né medico né epidemiologo e non sono in grado di decidere veramente con cognizione di causa. Sono però molto triste e preoccupato per come si sta svolgendo questo dibattito in Italia.


PS
pubblico questo qui perché ho il sentore che se lo facessi su FB ne uscirebbe un putiferio molto partigiano e poco incline alla riflessione.

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pensieri sparsi su Uber

24/09/15

Uber ha vinto. Quella tecnologia è talmente più avanti ed inevitabilmente vincente che non può che vincere. Forse non sarà Uber la società che vincerà, ma quella tecnologia è irreversibile. Eppure, i tassisti si stanno opponendo con una battaglia tutta di retroguardia. Per carità, i tassisti hanno formalmente ragione perché non puoi fare il tassista senza autorizzazione, ma uber rende il servizio impossibile da essere controllato dalle autorità, quindi ci troviamo di fronte ad una legge che non può più essere applicata. D'altra parte, c'è una lobby con una posizione di rendita che sta facendo una campagna a difesa dei suoi interessi e utilizzando tutti gli strumenti legali che ha a disposizione. Perderanno, i tassisti, ma è di altro di cui vorrei parlare.

Oltre a Uber c'è anche Blablacar la cui logica è sostanzialmente uguale ma si riferisce ai viaggi inter-urbani, sicuramente meno frequenti ma con una differenza fondamentale. Blablacar non fa concorrenza ai tassisti, i quali sono solo urbani. Cioé, la stessa tecnologia ha un impatto sul mercato diverso a seconda che ci sia una lobby che gode di una rendita di posizione in grado di opporsi a questa innovazione. Ecco allora che il "mercato" non è un'entità dove si compete sul prezzo, ma dove competono degli interessi che sono interessi politici. E gli interessi dei tassisti sono coordinati e fanno lobby, per i trasporti inter-urbani ci sono solo poche compagnie che vanno coi bus, quindi non veramente in competizione con blablacar.

Ora, io non ho preferenze per uno dei due servizi. Non mi appassiona particolarmente il tema. Però, serve per guardare ai mercati come qualcosa che una tecnologia può ribaltare ('disruptive innovation') ed in cui conta la composizione degli interessi, non il mercato in sé. Schumpeter, Polanyi, e Olson sono, insomma, più interessanti di tanti neoclassici.

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...e tu da che parte stai?

23/09/15

Parlavamo dei lavoratori del Colosseo a Roma dalla cui parte la Sinistra avrebbe dovuto schierarsi in maniera netta, chiara, forte, decisa. Invece, c'é una presunta sinistra che sta facendo battaglia sull'elezione dei senatori, mentre rimane silente di fronte ai problemi dei lavoratori. Ecco, quella gente andrebbe "rottamata", ma sopratttuto ignorata dai giornali e dalla stampa. Andrebbe classificata come irrilevante e insignificante se non fosse come i soliti Meganoidi che ostacolano il nostro eroe. Al contrario, servirebbe una fazione parlamentare dalla parte dei lavoratori, lasciando a se stessa quella che sta dalla parte... dei senatori.

Quandi, cari eletti del popolo, da che parte state: dalla parte dei lavoratori non pagati a cui tolgono i diritti sindacali o dalla parte dei senatori che non sanno se saranno eletti o nominati dal loro segretario?

Detto questo, la riforma costituzionale proposta da Renzi é pessima, ispirata al modello Orban ed é tutto dire.. ma non é l'elezione dei senatori il vero problema su cui bisogna fare una battaglia politica. Tuttavia, quando fra un decennio ci chiederemo perché l'Italia va male, queste sono le fasi in cui si compiono decisioni sbagliate che gravano sul futuro del paese.

Cosa fare? Smetterla con questa pessima riforma della costituzione, abbandonarla, dedicarsi invece ad una politica economica europea (mercato del lavoro unico, tassa sulle multinazionali, blocco del TTIP, mercato finanziario unico e regolamentato... ce n'e' di roba da fare...).

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politica economica

20/09/15

Ai sostenitori di Renzi auguro il trattamento che il Governo sta riservando ai lavoratori del Colosseo: straordinari non pagati e, se vi lamentate, sospensione dei diritti sindacali (per voi e per tutta la vostra categoria) con gogna mediatica. Tra l'altro, il caso si presta perfettamente perché il Colosseo ha forte impatto mediatico, mentre qualche museo minerario in Sardegna non si prestava allo stile del Governo attuale.

Non c'è niente di nuovo, è la strategia della Thatcher anni '80 per ridurre il costo del lavoro e recuperare competitività. Dal decreto Expo che toglie i limiti di stagisti ai decreti Poletti, dal Jobs Act fino a questi recenti casi la logica è quella di puntare sulla riduzione del costo del lavoro per migliorare la competitività. Casi come quello del Colosseo sono ideali per costruire il consenso e far passare decreti che, come Franceschini ha dimostrato, sono già lì pronti in attesa del momento buono.

Noto che non esiste una Sinistra che difenda i lavoratori. Gente come Cuperlo e Bersani ritengono che essere di sinistra sia discutere dell'elettività dei senatori, non questo. Vendola & friends non pervenuti. Camusso è talmente delegittimata che anche quando ha ragione non può parlare se non facendosi un autogol.

Il mio punto, al di là della difesa partigiana per i lavoratori, è che non è competendo sul costo del lavoro che l'Italia recupererà competitività. Perché ci sono un sacco di paesi che costano molto meno a pari qualità, anche solo dall'altra parte dell'Adriatico. Perché devi competere offrendo un mercato del lavoro competitivo sui lavori di alto valore aggiunto. I migliori lavoratori se ne vanno dall'Italia ed è un flusso che dura da un decennio, senza capacità di attrarre i cosiddetti "bravi". Non basta vantarsi di quanto siano geniali gli italiani all'estero, bisogna saper attrarre i migliori stranieri. Invece, l'Italia perde sempre più posti di lavoro di qualità e senza quelli non vai da nessuna parte, soprattutto non puoi crescere per generare altri posti di lavoro. Bisognerebbe seguire i modelli dei paesi che riescono ad attrarre i migliori lavoratori, offrire le stesse condizioni per esserne competitivi, significa in primo luogo valorizzare le persone, farle crescere, offrire buoni salari giocare sulla qualità della vita italiana. Invece, la politica economica è un'altra. Molto neoclassico e neoliberista come approccio. Ne prendo atto.

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dicono sia la modernità

28/07/15

Un tempo un imprenditore di successo era colui che, dopo anni di fatiche, arrivava ad avere una fabbrichetta con un qualche centinaio di operai, se era bravo ancora di più.

Oggi, un imprenditore di successo è quello che dopo 3-5 anni riesce a vendere la sua startup per qualche milione di dollari a qualche cinese.

Capite che non è la stessa cosa? Non è la stessa cosa...

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con gli esempi si è più chiari

09/06/15

Ho già parlato di meritocrazia, mentre ieri mi è venuto un esempio abbastanza divulgativo. Grazie all'ottimo risultato in Champions League, la Juventus avrà qualcosa come 100 milioni di euro in più che si aggiungo al divario già esistente con le altre società della Serie A. Meritocratico, direte voi, visto che erano anni che un'italiana non arrivava ad un passo dalla conquista del titolo più ambito d'Europa. Il problema è che la Juventus sono quattro anni che domina (meritatamente) il campionato, lo fa in maniera assoluta ed incontrastata al punto che il campionato è diventato obiettivamente noioso. Questo è dovuto anche alla desertificazione delle altre squadre per cui Buffon&friends affrontano come temibili rivali gente come Keita, Iago Falque e Tavano, ed una volta ogni mort... pardon, dimissione di papa incontrano un Messi, un Cristiano Ronaldo o un Robben. Qualora non vi sia chiaro, grazie a quei 100 milioni di euro il campionato sarà ancora più dominato dalla Juve a cui basterà mandare in campo un Padoin, uno Sturaro ed un Ogbonna per rivincere lo scudetto data la mediocrità dilagante della Serie A (con tutto il rispetto per i tre signori menzionati).

Anni fa, quando c'era un sistema redistributivo dei proventi della Lega, un Landucci qualunque si trovava di fronte Voeller, Van Basten e Vialli... e mi limito a quelli con la "v"! Le squadre avevano due opzioni: costruirsi progressivamente una squadra, come il Parma di Melli o la Sampdoria dello Scudetto, o investire miliardi (di lire) per stravincere come il Milan dei tre olandesi (ma anche come l'ultimo Parma di Tanzi e, in generale, la Serie A delle cd. sette sorelle). Il secondo modello non era molto virtuoso, ma aveva senso in un sistema dove la redistribuzione funzionava e garantiva un sistema competitivo perché anche la Fiorentina pre-Cecchi Gori poteva avere Baggio&Borgonovo. Così, aveva senso fare investimenti in un sistema competitivo perché sapevi che avevi rivali di livello.

Il buttare dentro un club miliardi (o milioni) non è pratica molto edificante, ma ora non lo si può più fare per il cd. fair play finanziario (che non si capisce bene a chi, come e quando si applica, ma tutti ne parlano). D'altra parte, avendo cancellato i sistemi redistributivi e garantendo lauti guadagni solo a chi vince, si rafforzano i sistemi cumulativi aumentando le disparità. In questo contesto, che senso ha fare investimenti? E' troppo difficile contendere alla Juve il monopolio che ha acquisito, non ha senso competere. Al più hai un Ferrero che si lancia nella Sampdoria, anche se il personaggio mi sa che fra qualche anno ci lascerà qualche sorpresina... comunque, che senso ha fare investimenti in un campionato che non è più interessante perché monopolizzato dalla Juve?
La proposta? Senza fare rivoluzioni, trovare un meccanismo redistributivo tra i club dicendo che i proventi si fanno in Europa, mentre in Italia si cerca di riequilibrare i diritti tv (che poi sono solo una quota facilmente gestibile dei soldi che girano intorno al calcio).

Volete invece la vostra meritocrazia? Bene, allora avremo la Juve ad libitum, come per anni abbiamo avuto l'Inter senza rivali, in un campionato sempre più noioso.

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Esercizio di prospettiva

23/05/15

La Consulta che boccia la riforma Monti-Fornero-PdL-UDC-PD sul taglio delle pensioni ha preso una decisione con implicazioni molto forti che, ovviamente, il dibattito pubblico non ha veramente capito presi dall'urgenza del dare una risposta immediata, mediaticamente forte, populista.

La Consulta ha sostanzialmente detto che non c'era emergenza economica per cui fosse giustificato il taglio delle pensioni. In pratica, tutta la manfrina che bisognava fare tagli per paura dello spread era infondata, una montatura mediatica che non aveva giustificazione reale. La Consulta è garante anche del buon funzionamento dello Stato, visto che anche questo è prescritto dalla Costituzione. Bene, l'idea di Fornero&Monti che l'Italia fosse in uno stato di emergenza da giustificare un colossale taglio delle pensioni non era giustificato. Punto, e basta.

Inoltre, se veramente c'era emergenza finanziaria e per questo lo stato non era in grado di pagare le pensioni, bisognava avere il coraggio di dire le cose col loro nome: lo stato temeva la bancarotta e, di fatto, ha fatto default, come argomentato qui. Lo Stato non era in grado di pagare ed ha scelto di non pagare le pensioni, quindi il pericolo di default è stato fatto ricadere sui pensionati come creditori unici ad aver subito una perdita, iniqua rispetto ad altri creditori.

C'è un'implicazione che nessuno considera: ma allora non era giustificato cacciare Berlusconi visto che il pericolo spread in realtà era una montatura mediatica. Le forzature con cui Napolitano è andato oltre il suo mandato costituzionale in pratica imponendo Monti come premier non erano economicamente giustificate, anche perché, e pochi lo considerano, il problema era europeo e, infatti, la soluzione è venuta dalla BCE, non grazie al taglio Monti-Fornero delle pensioni. Napolitano ha forzato la mano politicamente passando da garante della costituzione ad attore politico per liberarsi di Berlusconi sulla base di un argomento economicamente inesistente. Sia chiaro, non voglio difendere Berlusconi, sono contento che se ne sia andato e sia in un declino politico fortissimo, ma questo non era il modo, Napolitano ha violato la Costituzione e si dimostra che il sistema italiano non è in grado di annichilire derive autoritarie come quella berlusconiana (ogni riferimento ad altri mattei è puramente casuale).

Tuttavia, io sono decisamente positivo riguardo alla sentenza della consulta in un'ottica veramente keynesiana. Il rialzo delle pensioni, soprattutto di quelle medie, porterà ad una vera redistribuzione facendo risalire la domanda interna, aumentando i consumi e, potenzialmente, portando ad una ripresa seppur minima dell'occupazione. Gli 80 euro con cui Renzi si è comprato le ultime elezioni europee non hanno avuto nessun effetto moltiplicatore, un aumento molto più forte delle pensioni potrebbe dare un contributo molto più significativo. D'altronde, l'Italia è in crisi per mancanza di domanda interna. L'export più o meno gira e tiene a galla il sistema, il QE di Draghi mantiene in ordine i conti pubblici sul breve-medio periodo, la domanda interna resta debole per ragioni che non starò qui a discutere.

Il sistema pensionistico? Avrei una proposta semplice: detassiamo le pensioni, come in Germania. Il netto rimane lo stesso, ma non si cumula ad altri redditi, si riduce drasticamente il flusso di cassa dello Stato e almeno sul breve periodo si libera un'enormità di risorse per ridurre drasticamente il debito, quindi gli interessi che si pagano sul debito. Lo so che non è così facile, però discutiamone.

In conclusione, la Consulta ha riscritto la storia politica e di politica economica italiana senza che i più se ne siano accorti, ha attuato una vera politica keynesiana con possibili benefici che nessuno nel Governo capisce. Insomma, dai che non è andata così male... se solo ce ne fossimo resi conto.

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Fraintendimenti

20/03/15

Molti non capiscono la crisi greca perché non capiscono il valore/significato dei titoli di stato. Uno pensa che i titoli di stato siano un prestito allo stato... invece si sbagliano. I titoli di stato, all'inglese "bond", sono invece un bene di garanzia per le banche. Essendo in teoria sicuri al 100%, i titoli di stato servono alle banche per essere sicure di comprare qualcosa che gli garantirà un ritorno al 100%. Su questa garanzia le banche possono fare quella che si chiama "leva finanziaria", cioé dire ai creditori "fidatevi, perché abbiamo questi titoli di stato e di sicuro avremo un ritorno di cassa di almeno X".
Ecco, questo spiega perché la crisi del debito sovrano in Europa era tanto pericolosa: perché le banche rischiavano di perdere qualcosa che pensavano di avere per garantito. Per questo è scattato il panico fra il 2010 ed il 2012. Ma c'è di più.
La più grande disgrazia per le banche in questo momento sarebbe la riduzione del debito pubblico perché significherebbe meno titoli di stato, quindi dover pagare di più per poter avere le garanzie di base della loro attività economica. In un momento in cui gli affari non vanno bene, i titoli di stato sono necessari per avere una base garantita (tra l'altro, questo significa esternalizzare allo stato il rischio di fallimento che invece dovrebbe essere interamente internalizzato all'impresa, ma questa è un'altra storia). Se i debiti pubblici scendessero, ci sarebbero in giro meno mattoncini sui quali garantire le banche... e se ci sono meno mattoncini, bisognerebbe pagarli più cari.
Chiaramente, se la Grecia fallisse questi mattoncini non sarebbero più così garantiti, ma ormai i bond greci ce li hanno solo le banche greche e gli altri stati europei i quali... ta-dà! potrebbero fare un accordo per cancellarsi vicendevolmente i debiti con un sollievo enorme per le rispettive casse statali visto che ormai i loro bilanci sarebbero in attivo se non fosse per gli enormi interessi sui debiti che devono pagare per garantire appunto le banche di cui sopra. Ma se si riduce il debito pubblico, di nuovo i mattoncini garantiti diventano più rari e le banche dovrebbero pagarli di più e così via. Insomma, un circolo vizioso da cui se ne esce solo se si accetta di far ricadere un po' di perdite sulle banche, non solo sugli stati.
Ma ovviamente questo non succederà... però per favore diciamo che i titoli di stato servono come garanzie fondamentali per le banche, altrimenti non si capisce il perché di tanto interesse per la Grecia. Ah, concludo dicendo che un interesse così forte della Germania per un caso così piccolo ed in fondo marginale mi fa pensare che si sia toccato un qualche interesse forte di Berlino... altrimenti se la sarebbero cavata in poco come con Cipro. Così, a naso né!

PS
so di essere stato un po' caotico, speravo di essere più chiaro... tant'è!

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perché non si esce dalla crisi

27/02/15

Con un voto dell'Europarlamento è stata affossata la proposta di istituire dei controlli sul cosiddetto "shadow banking" ovvero tutte le attività delle banche fatte su mercati non registrati. So che può sembrare assurdo, ma esistono mercati finanziari non registrati ed i Verdi europei proponevano semplicemente di registrarli. Non una rivoluzione marxista, ma semplice buonsenso.

Purtroppo, però, la relatrice, un'eurodeputata inglese del gruppo S&D, ha dichiarato inammissibile la discussione sull'emendamento presentato dai Philippe Lamberts, Verdi Europei, per cui non se n'è neanche discusso. E' una responsabilità politica gravissima perché avrebbe rappresentato un salto in avanti nella trasparenza bancaria. Chiaramente è stato fatto perché così il settore finanziario può continuare a tenere lontano dalle istituzioni enormi volumi di affari. La cosa triste è che a volerlo sia stato quel partito S&D che si dice voglia lottare la crisi. Ricordo l'ipocrisia di molti messaggi elettorali del PES sulla crisi e la lotta per la legalità che naufragano ora di fronte alla verità dei fatti.

Usano il metodo Civati: su blog e stampa fanno fuoco e fiamme, si dichiarano di sinistra paladini dei più poveri. Poi, come Civati, una volta in Parlamento votano l'esatto contrario, evidentemente confidando che nessuno se n'accorga. Intanto, la crisi ringrazia e rimane lì ad aumentare le diseguaglianze sociali.

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Del Sacconi-bis

24/02/15

Non credo che la riforma Sacconi-bis, mediatizzata come "jobs act", sia poi così innovativa nel senso che si inserisce in quel filone di riforme neoliberiste iniziate con Treu e portate avanti da Maroni e Fornero senza soluzione di continuità. Si basano tutte sull'idea di ridare competitività alle imprese italiane abbassano il costo del lavoro, precarizzandolo per dare "incentivi" ad un'allocazione ottimale dei lavoratori e risparmiare su eventuali costi di riallocazione dei lavoratori (alias, senza coperture universali di reddito di cittadinanza). Bene, il quadro è chiaro, la coerenza assoluta e perseguita con maestria politica lodevole.
Credo che non si guadagni consenso su un'alternativa limitandosi a criticarlo, ma proponendo un'alternativa e quindi eccomi qui.

La mia proposta è molto semplice e si basa su un assunto di teoria economica classica che farei risalire direttamente ad Adam Smith. Per poter avere competizione perfetta in un mercato, bisogna che le regole siano uguali per tutti, altrimenti la competizione è distorta. Visto che siamo in un contesto di mercato unico europeo di capitali e prodotti, perché non abbiamo anche un mercato unico europeo del lavoro? Sarebbe un'innovazione socio-economica senza pari con effetti rivoluzionari perché si eviterebbe la competizione fra paesi europei sulla base del costo del lavoro o sui diritti, si sosterrebbe la domanda interna nella periferia europea e si darebbe un esempio mondiale di costruzione verso un mercato perfetto e integrato. Per semplicità, si potrebbe estendere il mercato del lavoro tedesco (contratti, sussidi e sistema pensionistico) a tutt'Europa con possibilità di differenziazioni interne come quelle esistenti fra i Lander tedeschi. In questo modo avremmo veramente un mercato unico che, integrato con il sistema europeo di monitoraggio delle banche, farebbe fare un salto di qualità all'integrazione europea.

Si potrebbe iniziare anche solo da una cooperazione rinforzata fra alcuni paesi come Belgio, Olanda, Germania e Francia a cui potrebbero aggregarsi altri paesi. In fondo, se funziona l'Euro in una quota parziale di UE, perché non dovrebbe funzionare lo stesso un mercato del lavoro in alcuni paesi europei? Il discorso andrebbe naturalmente ampliato ed approfondito, ma il messaggio è che non ci può essere un mercato unico europeo se non si unifica anche il mercato del lavoro. Ecco, io vorrei una Sinistra che proponga questo tema.

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Sogno di moda

31/10/14

Quando, invece di meritocrazia, sarà di moda la parola solidarietà, allora potremo pensare di uscire dalla crisi. Quando invece di competitività parleremo di sostenibilità, allora potremo pensare di uscire dalla crisi. Quando invece di individualismo parleremo di umanismo, allora potremo pensare di uscire dalla crisi. 

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Appare evidente

03/10/14

Due alternative davanti per l'Europa: un ventennio di stagnazione economica con spinte deflattive oppure, se dovesse capitare un qualche colpo sbagliato, una nuova e più fragorosa crisi ad un continente già in difficoltà. Sono gli effetti delle non-decisioni economiche e dell'austerità imposta dai merkeliani, nuova razza politica verso cui dovremmo imparare ad elaborare una nuova narrativa. In mezzo, la mancanza di una visione alternativa che abbia una forza politica. Sì, indico la colpa soprattutto nei partiti socialisti europei, strutturalmente incapaci di proporre un'alternativa al merkelismo. Si tratta di concepire una nuova politica economica alternativa a quella che ci ha portato fin qui. Negli anni '80-'90 fu il delors-ismo a salvarci finché non cademmo vittime del blairismo che ha mandato a carte all'aria tutto: mai fidarsi dei pensieri di politica economica "made in the UK", mai!

Ci si prepari alla stagnazione che, rispetto ad una nuova crisi, è lo scenario auspicabile. L'unica implicazione è che se stagnazione sarà l'importante è non restare intrappolati nella periferia d'Europa in modo da avere almeno una salvezza personale economica, anche se i costi sociali saranno elevati.

In tutto questo, la voglia di combattere per un mondo migliore si spegne vedendo come la parte nostra si è persa, si è intellettualmente spenta.

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Quello che manca

20/03/13

In questa crisi, quello che manca è la maturazione di una nuova svolta radicale nell'economia. A mo' di slogan, direi una nuova Bretton Woods o un nuovo Gold Standard. Non significa replicare quelle ricette, ma trovare una nuova decisione fondamentale che cambi le regole del gioco economico.

Ogni decisione ha pro e contro, soprattutto se si sta parlando di temi così complessi di cui nessuno può veramente dire quali saranno le conseguenze. Eppure, allora, ci fu una svolta epocale ed il coraggio di perseguirla dando nuovo corso all'economia mondiale, per quanto sono sicuro che chi prese quella decisione non fosse affatto consapevole della portata epocale.

E' chiaro che un sistema è stato spezzato, sta collassando più o meno lentamente, più o meno dolorosamente a seconda dei luoghi e delle persone. Non ci si può manco limitare ad una speranza schumpeteriana di distruzione creatrice perché qui si è oltre tutto questo. 

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Chissà cosa ne direbbe Marx, ora che la sua sintesi è ormai superata

30/01/13

Esistono due aspetti incredibili del nostro modello di sviluppo socio-economico che rendono ormai la sintesi proposta da Marx superata. Mentre le categorie analitiche hanno ancora un grandissimo valore, lancio due elementi chiave.

Il capitalista ormai guadagna senza bisogno di produrre attraverso il lavoro. La finanza è il capitale che genera capitale, e quindi potere, senza più bisogno né degli operai né, e questa è la cosa interessante, senza il bisogno di farsi vedere. Perché se ieri le fabbriche erano lì come cattedrali-santuario della produzione, oggi la finanza è quantomai immateriale.

Il secondo aspetto ancora più interessante è la natura residuale del lavoro che subisce una trasformazione assolutamente impensabile per le categorie marxiane, ancora meno per gli economisti classici e neoclassici. Il lavoro è stato distinto in due: operai produttivi nel sud del mondo, precari nel nord mondo. La cosa interessante è che ora il capitalista vive nel nord, i precari lo vedono ma gli ex-proletari no. I precari sono divisi di fronte al capitalista, mentre i proletari che in passato cercarono di fare addirittura una rivoluzione contro il capitalista manco lo vedono più.

Ecco, la smaterializzazione del capitale e la distribuzione polarizzata dei lavoratori sono i due elementi che contraddistinguono il mondo contemporaneo, almeno usando categorie analitiche marxiste.

Chiudo dicendo che è sempre interessante confrontarsi con i maestri del pensiero come Marx perché ti invitano a prendere posizione e, ancora più importante, perché ti aiutano a ragionare usando categorie che non sono le mie tradizionali. Per questo posso sembrare forzato e maldestro nel parlare alla marxista, ma questo pur breve esercizio è stato per me importante.

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E poi dicono che l'Europa non faccia niente

28/09/12

Siamo un po' contorti, ma anche noi europei riusciamo ad aiutare le banche in maniera clamorosa.

Primo, gli stati membri hanno un debito pubblico enorme. Questi titoli di stato sono ottimi per le banche perché possederli gli garantisce un ritorno sicuro dal 5% al 7%: dove li troviamo dei titoli così redditizi al giorno d'oggi?

Secondo, questi titoli sono ottimi collaterali. Con questi collaterali, una banca ha una base su cui farsi prestare i soldi dalla BCE o da altre banche. La BCE glieli presta all'1% che al netto del 7% preso da altri titoli di stato significa un bel gruzzoletto, soprattutto perché il debito sovrano dei paesi europei è enorme.

Se il debito sovrano diminuisse, meno banche avrebbero questi titoli su cui fare la leva finanziaria e meno banche potrebbero fare il giochetto che gli fa guadagnare il 7 meno 1%. Se ci fosse meno debito in giro, le banche dovrebbero fare a gara per prendersi questi titoli e dal 7% si scenderebbe a miseri spiccioli tipo il 5% che comunque con tassi d'interesse della BCE all'1% non farebbe schifo.

La vera rivoluzione? La BCE presta agli stati all'1% sotto il vincolo che il debito debba essere ridotto. Perderemmo qualche banca, ma salveremmo sanità, istruzione e pensioni. E' una questione di valori.

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Ideologie usa e getta: lezioni imparate, e da imparare.

14/09/12

Dopo aver visto i danni causati dal sistema sovietico, abbiamo buttato via l'ideologia marxista. Non ne ho rimpianto, abbiamo imparato la lezione.

Visti i danni che sta causando l'attuale crisi, mi chiedo perché continuiamo a tenerci l'ideologia liberista della scuola di Chicago.

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