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Pensieri sparsi, un po’ inquietanti

15/07/25

Avete fatto caso che non c’è più terrorismo? Quello stile Al Qaeda, di matrice islamica, da Atocha al Bataclan, da Londra a Bruxelles. Finito, dimenticato, archiviato.

Sia chiaro, era una roba agghiacciante, ma in un contesto geopolitico come questo, quel terrorismo e’ lontano anni luce. Un pensiero inquietante e’ che oggi quella linea politica cosi vagamente incerta é oggi piu’ vicina al ruolo di vittima di una guerra in cui i fascismi la stanno schiacciando. Allora, meglio lasciare l’ambiguità fra i vari Al Qaeda e Hamas, se mai sono stati sulla stessa linea, che di certo non hanno bisogno di motivi per aggredire, di casus belli ce ne sono enormemente, ahinoi. Era una strategia suicida sia nel senso letterale sia politica perché non ho mai capito come si potesse solidarizzare per quel tipo di terrorismo. Forse, forse per l’11 settembre (colpire gli USA del WTO!) o Charlie Hebdo (colpire i blasfemi!) ma tutto il resto era follia ingiustificabile che non credo abbia portato ritorno ai promotori.

Scrivo tutto questo con grande angoscia. Ha mostrato tutta la vulnerabilità di città come quella in cui vivo. Sia pace per le vittime innocenti.

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meraviglia

27/01/25

10 anni fa.

10 anni di meraviglia. 

Oggi. :-)

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Bruxellando ovvero storie di una città nata dove una città non andava fatta.

27/10/24

Titolo ironico naturalmente, ma è vero che Bruxelles è stata costruita là dove una città non andava costruita. Sappiamo che gli antichi romani fondarono praticamente tutte le attuali città d’Europa, almeno quelle importanti, con pochissime eccezioni (tipo Madrid che infatti fu costruita dove faceva troppo caldo o quelle già costruite dai greci e altri prima di loro).

 

Dicevamo, Bruxelles non andava costruita li. I Romani costruirono quelle che oggi sono Halle e Vilvoorde, cioè due accampamenti a monte e a valle della Zenne. Bruxelles, se esisteva, era un villaggetto di campagna di poche persone, per lo più contadini gallici, che vivevano birra e vivevano vicino all’isoletta i Saint Gery che permette di passare facilmente da un lato all’altro della Zenne, che però già allora era un fiume paludoso, malsano e praticamente non navigabile.

 

Il nome Bruxelles viene scritto per la prima volta nel X secolo, molto tardi e quando l’impero romano era un mito passato ravvivato da certi franchi di passaggio. Bruxelles manco c’era e se c’era non si preoccupava certo della storia.

Come d’abitudine nel medioevo, esistevi se avevi una parrocchia o almeno una chiesetta. Bisogna dire, insegna il buon Barbero, che le chiese dell’epoca erano molto diverse da quello che vediamo oggi. I preti erano gli unici che sapevano leggere e scrivere, che avevano ricevuto una qualche educazione e di fatto amministravano le loro parrocchie. I vescovi medievali erano una sorta di sindaco che amministrava la città, eletti dalla gente con la ratifica del Papa che certamente non poteva stare a seguire tutte le nomine in giro per l’Europa, al massimo i più importanti ma poi era un ruolo importante perché le uniche leggi erano consolidate nella religione ché le amministrazioni, per farsi rispettare, avevano bisogno di Dio. Avvocati, magistrati e giuristi non c’erano (le guardie quelle sì, ma pochine che costavano molto più dei preti).

 

Bruxelles non esisteva per molti secoli. Ci sono tre probabili parrocchie all’inizio di Bruxelles, ma non ho trovato due storici che siano d’accordo su quale delle tre fosse la prima. Forse una parrocchia dove oggi c’è la cattedrale dei Santi Michele e Gudula che spiegherebbe perché mettere la cattedrale lì, in un punto tanto scomodo (che poi tanto la diocesi sta a Mechelen, ma questa storia verrà dopo). Forse San Nicola che da queste parti è il protettore dei commercianti e non a caso si trova dietro l’attuale borsa dove una volta c’era l’attracco del porto (oggi boulevard Anspach). Forse St. Gery dove però la chiesa è stata sostituita da un monastero che occuperà tutto l’isolotto, monastero ovviamente oggi distrutto e di cui resta solo la chiesa detta Riches Claires.

 

Dicevo che Bruxelles non andava costruita li. Se era facile seguire il corso della Zenne (oggi, il Boulevard Anspach) era troppo complicato il percorso trasversale: provate ad andare dalla Grand Place al palazzo reale, la salita rampa! Provate a farla in bici, provate a farla trainando un carretto spingendo il mulo su strade sterrate quando piove. Oltretutto, il terreno è friabile e per costruire la cattedrale si è dovuti andare più in là. Ancora oggi il Palazzo Reale è basso perché la collina tende a franare.

 

Bruxelles era indifendibile militarmente perché appunto non ci potevi costruire un castello in cima a quella collina. Il momento esemplare arriva nel XVII secolo quando l’esercito francese di Luigi XIV mandato a bombardare Ghent decide di prendere Bruxelles perché più prestigiosa. Si mettono sulle colline di quella che oggi è Berchem e iniziano a bombardare coi cannoni. Distruggono tutto, tutto. Nessun edificio precedente a quell’anno rimane in piedi, alcune chiese verranno ricostruite ma erano già state distrutte dalle guerre fra cattolici e protestanti (tutte tranne Notre Dame du Sablon perché era la Chiesa dei balestrieri, la guardia cittadina… sai com’è). Tutto distrutto.

 

Viene spontaneo chiedersi: ma perché Bruxelles non si è difesa? Premesso che alla fine Bruxelles resiste e vince, il forte di Bruxelles era costruito circa dove oggi c’è la gare du Midi, cioè in fondo alla valle. Non c’è bisogno di aver visto Star Wars per capire che se io sono in cima alla collina e tu sotto la collina, io ti bombardo più facilmente e i tuoi cannoni fanno fatica a arrivare qui sopra. Siamo alle basi della balistica, dai…

 

Bruxelles indifendibile, friabile nelle sue colline e facilmente allagabile. Tutti i nomi che finiscono per -beek indicano infatti dei fiumi o, meglio, dei torrenti. Piena d’acqua questa città e però acqua paludosa che non scorre bene, erode le colline lasciandole friabili in un mix che piace tanto ai geologi, ma fa impazzire gli ingegneri. Si fa la birra ché così c’è qualcosa da bere, l’alcol uccide i batteri e più la gradazione è alta, più ne uccide.

 

La birra, ovvero pane fermentato dice un mio amico. Il pane, la Broodhuys che in antico leuvener significa la casa del pane. È quel palazzo che trovate davanti alla Grand’ Place, molto bello. C’è il museo della città. È il segreto del successo della città. Nel XIII secolo, il Duca del Brabante lo fa costruire e dice che tutto il pane della città può, deve essere venduto solo lì, sotto il suo controllo. Il Duca si arricchisce, ma la cosa funziona talmente bene che sposta la capitale da Lovanium a Bruxelles. Funziona!

 

Qui c’è il pane, la piazza del mercato, si trova un punto dove costruire una cattedrale e un palazzo che poi sarà imperiale.

 

Ecco, per oggi mi fermo qui, fra frammenti incompleti di una storia raccontata fra il serio e il faceto. Qui dove una città non andava costruita; qui dove vivo da ormai ben più di dieci anni. Ah, dimenticavo: sapete cosa vuol dire Bruxelles? Nessuno lo sa con precisione, ma è qualcosa tipo “la chiesa nella palude”, “la casa nella palude”, “l’oratorio nella palude”, beh… avete capito. Chi mai costruirebbe una città in una palude? Ci siamo.

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alla Cambre

26/10/24

 #Bruxellando ovvero storie meravigliose di una città troppo poco amata.


Un inizio un po’ polemico per raccontare di un luogo meraviglioso di Bruxelles: l’Abbazia della Cambre. Per chi avrà la pazienza di leggermi tutto.

Iniziamo fra storia e leggenda. Anno di grazia 966, il vescovo di Lovanium (odierna Leuven) muore mentre sta tornando a casa. Una lettera viene mandata dicendo che è morto vicino a Brōksāli, l’odierna Bruxelles il cui nome viene scritto per la prima volta. Non si sa dove sia morto né di cosa. Secondo alcuni mori di malattia o vecchiaia, più probabilmente morì ammazzato perché’ allora la regione era ‘divisa’ (che eufemismo) fra i latini imperiali che vivevano nelle città, erano cristiani e bevevano vino, mentre le campagne (i pagi) erano abitati dai pagani (cioè, non cristiani), discendenti dei galli sottomessi e bevevano birra. Era l’elemento costitutivo la cui ricetta doveva restare nascosta ai latini, era la pozione magica che secoli dopo ispirò Asterix, Obelix e Panoramix. Ma qui appunto mischiamo storia e leggenda.

Non sappiamo dove questo vescovo sia morto, ma vicino a dove oggi c’è la Cambre sappiamo che passava la strada per Leuven. Sappiamo che era la zona secca per far passare le strade prima che il Maelbeek venisse alla luce e scorresse fino alla Zenne. Si pensa che li ci fosse una stazione di posta che sfruttasse quelle acque e accogliesse i viandanti trattandoli, si spera, meglio di quel povero Vescovo. Vai tu a scoprire cosa sia successo oltre mille anni fa, però se così fosse alla Cambre inizia la storia di Bruxelles o meglio Bruxelles inizia a essere considerata tale.

Poi, due secoli di silenzio. Alla Cambre intendo, ma non un silenzio di rispetto, semplicemente un posto di cui non sappiamo niente. Sappiamo invece che verso il XIII secolo sorge un luogo di culto e preghiera, non credo per commemorare il vescovo, ma perché è dove l’acqua sorge dalla terra e scorre regalando la vita. Un primo luogo di culto fuori dalla città, nella quiete della foresta, nell’incavo di una piccola vallata. Con la strada per Lovanium che passa appena sopra. Dubito ci fosse molto traffico.

Il XIII secolo è una sorta di età dell’oro per l’inizio dell’abbazia odierna. Sant’Alice da Schaerbeek, una mistica sin da bambina che diventerà badessa; San Bonifacio da Ixelles che diventerà vescovo di Losanna, unico capace di far convivere nella Fede ricchi e poveri, finché i ricchi non si stuferanno dei suoi digiuni e di dover condividere il cibo coi poveri e lo rimanderanno a Bruxelles, alla Cambre. Due santi, tanta roba per una città che fino a un paio di secoli prima manco esisteva.

È il periodo in cui il Duca del Brabante sposta la capitale da Leuven a Bruxelles; la Cambre diventa il luogo più sacro fuori dalla città. L’acqua del Maelbeek viene usata per fare la birra che l’alcol uccide i batteri e l’impero latino non c’è più, almeno non qui. Ma la Cambre non è un luogo qualunque. Quando nel ‘500 Carlo V imperatore fa erigere la chiesa attuale (più o meno), la Cambre è la più importante abbazia di beghine, un concetto molto belga, altresì detta una vera paraculata. Le beghine erano le mogli dei ricchi che partivano in guerra. Quelli, se fossero tornati, avrebbero ritrovato matrimonio e ricchezza, se non tornavano (come spesso accadeva) le beghine amministravano le loro ricchezze via l’abbazia. Essendo un luogo sacro, ovviamente, nessuno poteva contestare le beghine le quali, libere dai voti di castità, preghiera e soprattutto povertà, amministravano un patrimonio sempre più consistente.

Parentesi. Il nome “Ixelles”, o meglio “Elsene” viene da un qualche antico dialetto Leuvener in e significa Ontano, l’albero. Perché Ixelles era la foresta di ontani dell’abbazia. Era tutta terra delle beghine, fin’oltre il Bois de la Cambre che circonda la parte sud-orientale di Bruxelles. Cercate sulla cartina quanto era grande quel terreno.

Torniamo alla Cambre che vive in simbiosi con Villers la Ville, la più grande abbazia del Nord Europa (ma non di beghine). La Cambre prospera perché i due santi sono sempre due santi, ma intanto ci sono tutte le famiglie più ricche del Brabante che in un modo o nell’altro hanno qualcuno dentro alla Cambre, che non è un convento di suore, ma di beghine. Mogli o vedove, comunque ricche e protette. In qualche modo attraversano le guerre fra cattolici e protestanti, sono ben immanicate ‘ste beghine il cui nome in italiano suona sempre strano. L’abbazia cresce, si espande e gli stili architettonici si mischiano.

L’incubo arriva con Napoleone. Distrugge tutto: la Cambre, Villers la Ville, le chiese. Tutto. L’enorme complesso cade in rovina. Tutto perso, distrutto. Si salva quel che non si può portar via. Una fabbrica, un deposito, un qualcosa fuori città.

Poi, la monarchia belga arriva. La Cambre inizia a risorgere per la sua storia. Leopoldo II ci fa un’autostrada per arrivarci più facilmente. La dedica a sua figlia. Sua figlia scappa in Austria, l’autostrada resta. 1920 e i parrocchiani di San Filippo Neri si organizzano: ricomprano la Chiesa. Torna la parrocchia, la messa. Si recuperano i resti dei SS. Alice e Bonifacio che Napoleone aveva dissacrato. Reliquie, restauro, l’Istituto Geografico Nazionale.

Oggi? Un luogo da visitare di storia, un parco da godersi, una calma che manco pare di stare in città con la strada che passa subito sopra. Storia, leggenda. Tutto d’un fiato, in silenzio. Che la Cambre vi accoglie ma resta un luogo sacro.

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da brico...

08/01/24

 [Altro che patriarcato...]

Vado da brico che secondo alcuni dovrebbe stimolare testosterone che veramente levati AO! Vabbè, mi tocca. Devo dire che ha più che altro attivato un altra parte della mia virilità che hanno iniziato a girare perché non si trova mai nulla. Stranamente per il Belgio, ci sarebbero pure del personale che in teoria potrebbe aiutarti ma scopri che alla fine quel che cerchi non c'è mai. 

Un pensiero particolare alla ragazza del reparto viti e chiodi. Capisco che per una donna quello sia un reparto particolarmente maschilista (che poi boh... perché?!), però cara mia non sapevi niente. 3 cose ti ho chiesto, 3 volte mi hai rimbalzato dai tuoi colleghi maschi. Per poi scoprire che tanto non c'è mai niente. 

L'apice è stato quando l'ho incontrata in un altro reparto. Lei mi ha guardato terrorizzata. Non dimenticherò il suo sguardo. Per evitare un'altra mia domanda, si è messa ad allacciarsi le scarpe. 

Lì ho capito. Le ho voluto bene. Ovunque tu sia, cara commessa del reparto viti e chiodi, io ti stimo. Quasi quasi ti direi che ti voglio bene. Perché fingere di allacciarsi una scarpa è meraviglioso. Grazie.

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21 Luglio

21/07/23

Amo il Belgio. O meglio amo Bruxelles ma in fondo anche il resto del regno mi piace. 


Amo il Belgio e una buona ragione per amarlo è che nessuno lo ama. O quasi. 

Amo il Belgio al punto da esser diventato belga attraverso una procedura assurda.

Amo il Belgio perché in fondo qui c'è la libertà dove ognuno si fa i ..ZZ. suoi visto che questo paese non è mai riuscito a costruirsi un terreno comune. 

Amo il Belgio per la sua incredibile cultura, dai pittori a J. Brel e Stromae, da Magritte a Lemaitre perché il Belgio è anche un paese di scienza. 

Amo il Belgio per la sua storia e le sue storie. Una su tutte: il Belgio è quella parte di Europa dove si sono combattute più battaglie, secondo wikipedia. Per la cronaca il paese coinvolto in più battaglie è la Francia e quella con più vittorie Inghilterra, ma venivano qui in Belgio a combattere... 

Amo il Belgio perché non si prende mai troppo sul serio e Magritte lo spiega meglio di chiunque altro. 

Amo il Belgio perché non c'è e non ci può essere nazionalismo, solo un "velemose bbene" che dura un giorno (il 21 luglio) e poi ognuno torna a casa sua a farsi il suo BBQ. 

Amo il Belgio perché le cose funzionano, almeno fin quando non c'è da interagire fra esseri umani e lì iniziano i problemi perche' i belgi, a differenza dei vicini a Nord, sono ingegneri industriali e non commercianti. 

Amo il Belgio perché condivide l'ideale di mangiare e bere bene. Il sogno è una birretta al tavolino a primavera con un paio di amici. 

Amo il Belgio perché in fondo non c'è ragione di odiarlo. Gli italiani qui si lamentano che piove, ma non è che Amsterdam o Londra abbiano sempre il sole... 

Amo il Belgio perché è pieno di piccoli gioielli, da Dinant alla Cambre, dalla Grand'Place a quel capolavoro di Brugge. 

Amo il Belgio perché in fondo i Belgi non esistono e siamo tutti un po' parenti arrivati qui per caso. 

Amo il Belgio e so che ho poca compagnia ma almeno faccio la mia piccola parte. 

Amo il Belgio anche se la bandiera mi mette un po' tristezza, dovrebbero mettere un giallo e un rosso un po' più vivaci. 

Amo il Belgio per quel senso di schivare i problemi globali mentre ci si incasina su problemi locali incomprensibili a qualunque persona di buon senso, tipo in che lingua fare i parcheggi dello stadio nazionale di Bruxelles visto che c'è posto solo nelle Fiandre (NB lo stadio è sul confine). 

Amo il Belgio perché alla fine sono birra, patatine fritte e cozze, ma in realtà c'è anche parecchio d'altro! 

Amo il Belgio, oggi. Perché in passato ha avuto estremismi intollerabili, dal Congo a Marcinelle, da Leopoldo II a Dutroux, ma oggi molto più moderato. 

Amo il Belgio perché la politica alla fine è tranquilla, De Wever non è Salvini e tanto non c'è un terreno comune per cui scannarsi. 

Amo il Belgio perché tutti lo pensano un paese da nord-ovest a sud-est, quando invece sono due valli da sud-ovest a nord-est che seguendo Schelda e Mosella fanno le Fiandre e la Vallonia, unite secoli fa da Anna di Lorena che cercò di avere un'alleanza unica con le 17 province di quello che oggi chiamiamo BeNeLux (a voi di giudicare il successo...). 

Amo il Belgio perché ogni volta scopro storie meravigliose, tipo che il palazzo di giustizia di Bruxelles sta incasinato perché il ministro lo fece fare a un amico suo (massoni entrambi) che non aveva mai studiato scienze delle costruzioni, ma era solo un restauratore... 

Amo il Belgio perché non si può non andare questo fazzoletto di terra pieno d'acqua a cui accadde di trovarsi crocevia d'Europa. 

Amo il Belgio per il suo senso di ironia, cosciente e inconsapevole. 

Amo il Belgio perché ne puoi parlare quanto vuoi ma quasi nessuno arriva a leggerti fino in fondo. 

W il Belgio, tanti auguri a questa piccola, meravigliosa parte di mondo.

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Leggere e scrivere

07/07/23

Fra le cose che girano su questi schermi ce n'è una che dice che il problema di oggi è che tutti vogliamo scrivere, ma non abbiamo voglia di leggere gli altri. Già mi chiedo se abbia fatto bene a scriverlo... però almeno mi impegno a leggere eventuali commenti.

Perché mi rendo conto che ho poca voglia di leggere i libri e articoli degli altri, un motivo valido per aver lasciato la carriera accademica che, vista da fuori, appare ancora piú assurda. Tuttavia, leggere significa anche un ascolto attivo, significa voler capire perché quella persona ha voluto scrivere quella cosa. Dietro a un tweet o una frase su Facebook, ci sono intenzioni, emozioni e pensieri, magari non sempre consapevoli. Ammetto, anzi confesso che mi viene piú facile l'ascolto attivo di persona che non online. Su questi schermi c'é troppa velocitá e un flusso eccessivo di cose scritte, condivise e rilanciate. 

Non so se averlo scritto mi fa stare meglio, almeno voglio ricordarlo a me stesso.

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E poi c'è Bruxelles...

26/06/23

Sono appassionato di storia delle città, probabilmente l'esame più bello che feci all'università. C'erano città come Milano e Torino, la cui storia è semplice e paradigmatica, come Colonia o Monaco, Lione e Glasgow. Ci sono città eccezionali come Roma e Parigi e veri casi unici, capolavori di ingegno umano, come Venezia e Amsterdam.


E poi c'è Bruxelles... che negli anni 1920-30 costruì delle città giardino (24!) Tutto intorno alla crescente area urbana salvo poi scoprire che quello divenne bacino elettorale comunista e quindi bloccarono ulteriori permessi. C'è il palazzo di giustizia, mai completato e sempre in restauro perché non c'è mai stato un progetto architettonico, ma la costruzione fu affidata a un amico del ministro della giustizia che non aveva mai fatto un esame di scienza delle costruzioni e guarda a caso il palazzo non sta in piedi (però erano entrambi massoni). C'è la giunzione Nord-Sud che ha distrutto il centro storico perché era comodo unire le stazioni a nord e sud. C'è la copertura dei fiumi e paludi del 1860 che bonificò gran parte della città bassa (e non solo). Visto che però sapevano che distruggevano quartieri pittoreschi, mandarono acquarellisti a "fotografarli" prima di raderli al suolo. C'è il progetto delle 12 chiese intorno alla città di cui ne fecero solo 3, fra cui la basilica di Koekelberg affinché fosse la 5a chiesa più grande al mondo (chissà perché proprio la 5a...). Ma poi c'era il forte Monterey, roccaforte del 1600 quando la città si dotò di mura adatte alle armi da fuoco, come fecero tante altre città. Peccato che questo forte venne messo a Sud (più o meno dove c'è oggi la gare du Midi), in fondo alla valle della Zenne. Quando arrivarono i francesi da ovest, si misero in cima alla collina coi cannoni e fu facile radere al suolo la città. Con però due dettagli che vale la pena raccontare. Il Re di Francia aveva dato ordine di bombardare Ghent, non Bruxelles. Il generale che di sua iniziativa attaccò Bruxelles cercò di abbattere il campanile di municipio e distrusse TUTTA la città, tranne il campanile. 

Avrei altre storie da raccontare su questa surreale città, ma come dice il libro che leggevo stasera, c'è che una città qui non andava costruita. Andava bene per i Galli pagani che scappavano dall'impero romano cristiano (non a caso il primo atto in cui si cita Bruxelles è la morte -o uccisione- di un vescovo), ma non per tutto il resto. Per esempio in centro è troppo difficile muoversi est- ovest con i carri a cavallo (provate oggi a salire in bici dalla Grand Place al palazzo reale). Bruxelles significa luogo nella palude, l'acqua e l'aria erano malsane! La città poi non ha difese naturali ed è stata saccheggiata-distrutta-assediata un numero pazzesco di volte (infatti non restano monumenti più antichi di quel bombardamento francese di cui ho parlato prima, se non ovviamente qualche rudere e maceria). 

Eppure ho imparato a amare questa storia fra attuale e surreale, atrocità, non sensi, ma anche intraprendenza e coraggio. Il risultato è un meraviglioso crocevia da troppo pochi amata.

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Di luoghi e storia

20/04/23

Due luoghi legati alla mia famiglia per ragioni diverse mi han fatto conoscere due eventi storici che dicono molto della situazione attuale. 

Fornovo val di Taro, 6 luglio 1495
Il Re di Francia Carlo VIII sta tornando in patria dopo aver saccheggiato Roma. L'Italia, allora potentissima sotto ogni punto di vista, si è dimostrata divisa e incapace di organizzarsi per difendere il Papa, autorità fondamentale per l'epoca. 
Milano e Venezia guidano una coalizione che vuole metterci una pezza perché ha capito l'errore e aspettano i francesi a Fornovo, dopo che hanno attraversato il passo della Cisa. 
La coalizione italiana vince, più o meno. I francesi perdono il bottino ma si salvano e scappano. La battaglia dura poche ore, ma entra nella storia perché per la prima volta i francesi usano i cannoni in una battaglia campale, prima di allora erano stati usati solo per gli assedi. Se l'esito della battaglia non è chiaro, la notizia è che gli italiani appaiono per la prima volta da secoli come vulnerabili, divisi e senza leader. 

Battaglia di Pavia, 24 febbraio 1525
I francesi di re Francesco I assediano Pavia che sta per cadere quando l'esercito imperiale arriva per spezzare l'assedio. Gli eserciti in campo si equivalgono con circa 30.000 uomini a testa e simili dotazioni di cavalli, cannoni e altri armamenti.
Malgrado questo equilibrio sulla carta, gli eserciti imperiali stravincono e arrivano addirittura a catturare il Re di Francia. La battaglia entra nella storia perché, per la prima volta, le armi da fuoco diventano il centro della strategia militare. Nei 30 anni precedenti venivano già usate (vd. la battaglia di Fornovo con i primi cannoni), ma ora diventano il centro dell'esercito.

Questi episodi, che qui ho descritto sommariamente (ma che trovate con tanti dettagli su Wikipedia) raccontano di una rivoluzione tecnologica tipo quella che vediamo oggi con l'intelligenza artificiale. 

Lezione 1.
C'è bisogno di uno stato grande con massa critica per poter permettersi i cannoni. Le signorie italiane potevano avere i migliori cavalieri e mercenari, ma i francesi e l'impero hanno i cannoni e gli archibugi che costano ma su cui ci sono evidenti economie di scala. 

Lezione 2.
Magari non capisci subito l'importanza di una tecnologia come le armi da sparo (Fornovo), ma intuisci che bisogna investire in quella direzione perché il primo che impara a usarla vince la ben piu' importante battaglia di Pavia. L'intelligenza artificiale sono le nuove armi da fuoco e non ci vorranno 30 anni per vederne gli effetti. 

Lezione 3.
Le battaglie venivano combattute in Italia perché era ricca e quindi si poteva ambire a ottimi bottini da parte di quegli Stati che avevano le tecnologie e le risorse per utilizzarle. Non a caso, l'Italia avrà un declino inesorabile a partire dal XVII secolo. L'Europa è quel mercato ricco su cui altri competono con tecnologie che non abbiamo e non sappiamo usare. Ma siamo anche divisi e ci difendiamo a Fornovo solo dopo che i francesi hanno saccheggiato Roma.

Ora bisogna cercare le giuste analogie, similitudini e differenze, ma conoscere la storia aiuta. 

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estratto da una conversazione da NON prendere seriamente

11/04/23

se vuoi far carriera devi stare dalla parte dei ricchi, dei forti, devi rassicurarli dicendo che sono loro che non capiscono e votano brexit, poi fai mezza ammenda dicendo che sono places that don't matter ma in realta' stanno nel nostro cuore buono cosi noi pubblichiamo e loro restano poveri che cazzo lavorino che io e Calenda mia possiamo star qui senza il golf di cachemire vaccaputtano che sti poveri merda, SICURAMENTE TERRONI, mi stanno causando il cambiamento climatico e quel negretto non agita la palma alla velocita' giusta. moh lo prendo a soppressate che tanto e' un bingo bongo ma io sono democratico e faccio opposizione con senso delle istituzioni

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storia semiseria

10/02/22

Forse non tutti sanno che…

…la storia del Belgio ha alcuni dettagli strepitosi!

Il Belgio nella Seconda guerra mondiale.

Storicamente, il Belgio era un paese neutrale perché si sentiva (giustamente) schiacciato fra Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania/Impero, che sul suolo belga avevano combattuto un’enormità di battaglie sanguinose, dall’assedio di Namur alla battaglia di Waterloo, passando per le continue distruzioni di quella che avrebbe dovuto essere una potente roccaforte, Charleroi. Il Belgio aveva la protezione della Chiesa cattolica, poco influente da queste parti, e della ben più importante Massoneria franco-scozzese (per qualche ragione oscura, quelli di Londra gli stavano sui maroni, vabbè, andiamo avanti…). 

Se nella Prima guerra mondiale il Belgio fu eroico, nella seconda ci fu poca storia. La Germania nazista aggirò la linea Maginot francese passando dal piccolo paese che non aveva difese naturali, tipo il Reno o i Vosgi, e soprattutto non aveva la ben che minima capacità militare di opporsi. Ma Hitler puntava a Parigi, Bruxelles serviva quanto una sosta all’autogrill quando aggiri la coda fra Casalecchio di Reno e Barberino del Mugello. Il governo belga scappò (ma non il re), ma erano divisi perché manco loro sapevano che fare (se sei il Belgio contro la potenza nazista… in effetti…), ma c’era un dettaglio che li metteva in crisi: la dichiarazione di guerra.

Hitler, infatti, non dichiarò mai guerra al Belgio e questo causò un casino che non vi immaginate per i poveri belgi. Il governo teoricamente legittimo non era più sul suolo occupato e i nazisti amministravano il paese con poco interesse (ti pare che Hitler avesse voglia di occuparsi della tangenziale di Mons?!) e soprattutto nessuna legittimità legale in quanto, formalmente, non erano ‘occupanti’. Pare che i nazisti si resero conto dell’errore e si preoccuparono di dichiarare lo stato di occupazione per gli altri paesi conquistati, ma non per il Belgio. E' tipo quando ti muore il primo prozio che realizzi che le bollette erano intestate a suo padre e ora la municipale chiede il codice fiscale del nonno del prozio della cugina di sua madre che viveva ancora nel lombardo-veneto, quando a malapena sapevano scrivere, ma tu hai pagato sempre le bollette e quindi la municipale non si era mai posta il problema... e chiaro, no.

Anche quando le sorti della Seconda guerra mondiale si invertirono e il Belgio si trovò sul lato dei vincitori, rimaneva questa roba della mancata dichiarazione di guerra da parte della Germania nazista. 
Che fare? 

Il Belgio era neutrale e non poteva dichiarare guerra alla Germania, ne avrebbe forse avuto ragione vista l’occupazione militare (eh serve sempre un casus belli, altrimenti parte il ricorso al TAR…), ma gli stessi nazisti non formalizzarono mai l’occupazione (capisco avessero altro a cui pensare…). Tutto sommato, erano pure apprezzati al punto che i fiamminghi furono gli unici non tedeschi ad avere una loro divisione nelle SS, quindi nessuno veramente si preoccupava di ‘ste menate giuridiche. 

Ma allora, il Belgio ha vinto la Seconda guerra mondiale? Ehm, no! Formalmente, il Belgio è rimasto sempre neutrale. Malgrado abbia fatto quel che poteva dalla parte degli alleati (ad esempio, il quotidiano La Libre Belgique rimane come esempio dei partigiani cattolici antinazisti che combatterono a Bruxelles), il Belgio non poté sedere al tavolo dei vincitori perché, sulla carta, nessuno l’aveva invaso, nessuno gli aveva dichiarato guerra e lui era ancora neutrale. Io mi immagino la faccia degli altri ambasciatori a vedere quello belga da solo… isolato… in un angolo con la sua birra e le patatine fritte… vorrebbe brindare ma... eh lui non ha lo SPID... 

Ecco, questa storia è strepitosa, si unisce a tanti altri dettagli di questo meraviglioso paese. Capite perché i belgi soffrono di mancata autostima? Perché fanno fatica a essere presi sul serio? Manco Hitler che era Hitler si prese la briga di dichiarargli guerra… lo fece, ma senza scriverlo e vabbè! 

Morale della storia: aggiornate gli intestatari delle bollette prima che muoiano (e impariamo dalla storia). 

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Gioia Giulio!

02/11/21

Gioia Giulio! Gaudente giorno genesi, glorioso giovanotto! Gigantesco galantuomo, giocatore gentile, graziosamente gargantuesco! Gateau gelato glassa gommosa glutammato... goloso!

Gioioso gentiluomo già galleggia galvanizzato: grazie genitrice Gotta! Galeotto genitore grida 'ganzo!'. Guardate: gia' garbato garzone, giocondo gioviale, gesta graziose. Gareggia guidando go-kart? Garantito, giocherà galattico! Genesi gallica, genoma garibaldino. 

Gioite germani, gioia Giulio, gaudio garantito!

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D'una rottura

20/07/21

Quando mi sono rotto il malleolo, ero da solo a Bruxelles. Ma non ero solo. 

La notte che ero in pronto soccorso ho potuto chiamare un angelo che alle 3h30 mi ha riportato a casa. 

Altri, tanti altri sono venuti ogni giorno ad aiutarmi con le piccole grandi cose di cui avevo bisogno. Chi mi ha lavato l'insalata che con le stampelle non ci riuscivo; chi mi ha accompagnato a fare il vaccino. Chi ha cucinato cose deliziose, chi mi ha tenuto compagnia finché mia moglie non è riuscita a venire a Bruxelles. 

Vorrei ringraziare tutti, da chi é venuto a chi mi ha chiamato o mandato un messaggino. Ecco, se c'è una cosa che ho imparato è stata la bellezza di tutto questo e vorrei condividerla con un grande grazie ché non trovo parola migliore.

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D'un'ultima volta

23/06/21

Quando scesi dal palco per l'ultima volta sapevo che sapevo stata l'ultima. 

Non sapevo che poi sarebbe scoppiata tutta 'sta pandemia che, fra le troppe vittime, ha pure il teatro. Eppure, quello spettacolo in nederlandese era il raggiungimento dell'ultimo obiettivo che mi ero dato dopo che avevo già deciso da tempo di smettere. Avevo già avuto una pausa di tre anni e mezzo da spettacoli, anni spesi a portare gli altri sul palco. Lavorando sempre per aiutare gli altri a stare sotto i riflettori, ho realizzato che il teatro, e l'improvvisazione in particolare, é un percorso di crescita umana incredibile che, lo ripeto provocatoriamente spesso, andrebbe reso obbligatorio per tutti. 

Credo, a costo di dissentire con qualche caro amico, che l'improvvisazione abbia dei limiti artistici importanti, ma il valore per la cresciuta umana di chi la pratica é inestimabile. Ammiro i miei maestri non tanto per le qualità artistiche, ma per l'insegnamento umano che ho ricevuto. Invito tutti a fare corsi di improvvisazione teatrale come forma di crescita personale. Quel progetto durato 7 bellissimi anni ora é finito, anche se la pandemia ci ha impedito di farne un degno funerale. Mi riprometto di scriverci un libro, ma conoscendomi avrei bisogno di un aiuto che magari troverò proprio qui. 

Quando qui a Bruxelles gli spettacoli all'aperto son ricominciati, mio figlio grande mi ha chiesto se recitavo, ma gli ho risposto che non sarei mai più salito su un palco. Ovviamente, stamattina avevo già cambiato idea e la voglia di trovarmi davanti a un pubblico divertendomi con gli amici era gia' tornata. Ci vorrà un po' perché accada veramente, ma é una questione di crescita personale. 

Dopo questi mesi di confinamento credo possa essere un bisogno non solo mio. Abbiamo bisogno di ritrovare fisicità oltre questi ormai insopportabili schermi. 


Grazie per chi c'era, per chi c'è e per chi ci sarà. 

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After 200 years

05/05/21

He was a bloody dictator. His wars caused 12 years of pan-European terror with 4,300,000 soldiers dead plus about 2-2,500,000 civilians, about the same as Hitler but in a Europe with much less inhabitants. He destroyed a significant share of human heritage plundering Italy, Spain and Egypt. His imperialist propaganda is still resonating with the idea of ‘exporting freedom’ with armies and authoritarian regimes. We won’t miss you.

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percezione

13/03/21

La mia percezione è che questo prolungato stato di confinamento generi in Belgio un mix di depressione e burnout mentre in Italia più esasperazione e rabbia. Credo che buona parte della colpa dipenda dai decisori collettivi oltre che dall'indole delle rispettive popolazioni.È una percezione soggettiva naturalmente.

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decade

02/03/21

Today, I celebrated 10years in Belgium! 

At first, it was a complicated, short-term relationship with Brussels. Like many others, I came just for a 5-month intern with unknown ideas about the future. Slowly, I discovered an amazing city, wonderful, though difficult to explore. 

This is one of the best images for me. Brussels is like London (where I was before moving here), but with one, fundamental difference. In London there is 'everything' and it constantly comes up to you overwhelmingly. In Brussels, you can find 'everything', but you have to find it, go looking for it, and this makes difficult to appreciate the European capital. 

It's ten years in Brussels, rather than Belgium, and I'm still in love with this fantastic, small global capital. Fragmented, complicated, slow, immobile and dynamic. A real European crossroad where everybody can meet, come and feel strangers as we all here. 

I am used in mixing English and French, Italian at home and (some) Dutch at work. I bought a grammar book of Brusseleir (the Brussels dialect, which is a mess between French and Dutch) and wrote a lot of papers about this city-region. I know everything about its institution, history, water, tunnels, innovation policy, cohesion policy and research performance, but these are boring stories. I still have so much to learn. 

Brussels means my family life with my 2 kids born here, countless friends and, among many other wonderful things, I can't forget Impro for Dummies - Brussels, an amazing story that had ended as all great stories have to. I think it is the day to start applying for the Belgian citizenship. Let's see if feasible. 

Meanwhile, merci, bedankt, thanks, grazie!

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Devo dire che

04/01/21

 Devo dire che alla fine questo primo Natale brusseleir non é stato niente male. Al netto della situazione difficile che tutti stiamo vivendo aumentata dalla distanza per la famiglia estesa a Milano, mi sono messo nell'ottica di cercare la bellezza in queste feste cosi diverse dalla mia tradizione. Invece di 100 parenti, una piccola, calorosa bolla. Invece di Milano con la neve, una grigia, quanto rilassante Bruxelles. Niente Madonnina, ma solo il Manneken Pis. Si é mangiato e bevuto bene anche qui e con qualche telefonata in piu' abbiamo navigato al meglio questo tempo cosi' difficile. 

Certo sara' bello ritrovarsi 'poi', ma guardiamo col sorriso a questi tempi. Aiuta. 

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ora, avremmo bisogno

29/10/20

...e invece avremmo bisogno di artisti, scrittori, teatranti e musicisti perché nel "poi" dovremo raccontarci di come siamo stati in questo "mentre". Sono tempi duri, lo sappiamo tutti, ma abbiamo bisogno dell'arte e della cultura per elaborare tutto questo che stiamo vivendo.

L'ho detto e lo ripeto: fra salute ed economia, ci siamo dimenticati la psicologia. 

Ho paura che la cultura finisca monopolizzata da gente come Netflix o che l'arte rimanga nelle mani di quelli promossi da Repubblica.it. Invece, abbiamo bisogno degli artigiani dell'arte, del sottobosco di nomi che vanno sui palchi, non quelli sugli schermi. Non é un caso se in qualunque eta' umana ci sono state forme di rappresentazione artistica, dalle grotte di Lescaux fino ad oggi. Non é un caso se i secoli di splendore del passato sono sempre associati al proliferare delle arti, in qualunque epoca ed a qualunque latitudine. 

Lo so che é dura, sono il primo a dirlo, ma lasciare indietro proprio gli artisti é un grave, gravissimo errore.

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In vista del faro

17/06/20

Immagino un capitano che, dopo un lungo viaggio, vede il faro del porto di arrivo. Sapendo che é l'ultimo viaggio, si accinge a fare l'ultima manovra per entrare in porto. Si ferma e guarda il faro. Si accende, si spegne.
Si accende.
Attende quell'attimo con l'intima speranza che non si riaccenda, che il porto di arrivo si trovi un poco piu' in la'.
Si riaccende e si rispegne.
Forse é solo il faro del porto precedente, forse ancora qualche onda da navigare.
Si riaccende. E' proprio quel faro.

Si chiede se magari Eolo concedera' un vento piu' forte per arrivarci prima. Un po' prima.
O magari un po' dopo.

Mentre i marinai dormono, potrebbe dare un colpo al timone e allungare ancora un po' il viaggio, magari non se ne accorgono.

Il timone. Quel timone. Il suo timone. Quel pezzo di legno che affidava al 'suo' timoniere. Pensava fosse solo legno. Bravo il timoniere, ma era giusto un timoniere. Lui il capitano.

Cerca di scrutare quella sua casa nel porto della notte. Il suo giardinetto, il letto. La sedia.
La taverna con gli amici. Ripensa a ogni singolo marinaio su questa nave, a quelli dei viaggi passati.
A chi é rimasto a terra.
A chi non é mai andato in mare. Per mare, col mare.
Il marinaio bello e quello bravo. Il marinaio che ha ucciso un uomo e quello che ha letto un milione di libri.

Guarda il faro. Gli scogli, l'arenile, il molo, il carico da scaricare, la nave da consegnare. La strada verso una qualche casa con la porta colorata cosi' da riconoscerla anche dopo un lungo viaggio.

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