Colpito

01/05/13

Fra le varie letture di questo periodo, riporto un piccolo passaggio che mi ha colpito, senza preoccuparmi di contestualizzarlo.

Per secoli, i figli indesiderati venivano partoriti in segreto e abbandonati negli orfanotrofi.
Oggi, invece, li si uccide abortendo.

Non è solo una questione di nuove tecnologie divenute disponibili (c'erano tecniche di aborto anche secoli fa), è proprio una questione sostanziale di natura psico-sociale. Non sono un esperto, ma chiaramente spiega come cambiano le aspettative sociali sull'individuo.

Ne deriva una domanda a cui non so dare risposta: ma la battaglia contro l'aborto, è quindi un preferire gli orfanotrofi? Ok, domanda mal posta ma il collegamento esiste. Riformulando la questione, meglio uccidere un figlio indesiderato oppure darlo in affido? Volontariamente, uso parole che provocano diverse accezioni sulla stessa situazione. Meglio far nascere un bambino e abbandonarlo per farlo crescere non si sa dove o non farlo proprio nascere, sopprimendolo prima ancora che diventi un individuo completo?

Non è una domanda da poco, è un dubbio etico che interroga non solo chi si ritrova in quella condizione, ma l'intera società visto che stiamo parlando delle aspettative sociali che ricadono sui singoli individui.

Forse questo tema per gli psicologi è ben noto, per me è la prima volta che mi ritrovo a pensarci.

4 commenti:

Unknown 4 maggio 2013 alle ore 20:10  

Ammetto che questo post mi ha colpito decisamente, per le differenze culturali e di approccio che sollevano rispetto alla mia storia e pensiero.

Prima cosa, tu dici che abortendo uccidi i figli. Questo è vero per chi ritiene che il momento del concepimento sia il vero, completo, univoco e totale atto di nascita, ma per chi ritiene che per ritenere il bambino tale occorre attendere un livello minimo di sviluppo quel che tu scrivi è completamente falso. Tecnicamente se anzichè andara avanti nel tempo si va indietro, ogni eiaculazione è una strage di potenziali bambini. C'è una posizione che in via scientifica possa essere considerata palesemente giusta? La scienza ha stabilito un momento di sviluppo che fa da spartiacque, ma non può affermare allo stato attuale se l'anima esiste o no e in quale momento entra nel corpo. Indi definire a priori che "li si uccide abortendo" deve per forza essere una conclusione privata, priva di un senso generale valido per tutti. Lo stesso vale per la proposizione opposta, mettendo un "non" davanti alla proposizione precedente. Questo probabilmente è il motivo per cui l'aborto fu accettato da buona parte del mondo occidentale: era una necessità sentita da una parte della società e non c'era una ragione univoca per proibirlo, solo una di fede.

Quel che però mi ha stupito davvero del post è leggere che è la prima volta che ti ritrovi a pensarci. Va bene che son nato in un covo di Comunisti, ma ricordo quando a 12 anni alle scuole medie ci trovavamo a discutere di queste questioni. Ricordo un ragazzo di una famiglia di estrazione cattolica che si schierava contro, un altro di estrazione anticattolica a favore entrambi per partito preso, mentre gli altri discutevano nel merito della questione inclusi gli aspetti di 'è meglio abortire o dare in affidamento'. Nessuna conclusione concreta uscì da quelle discussioni, ma era ritenuto importante che dei ragazzini si ponessero queste questioni fin dall'inizio dell'adolescenza. La scuola premeva perchè ci ragionassimo su, anche se i nostri genitori erano molto, molto perplessi.

Da allora son passati 18 anni. Ancora non ho la magica soluzione a questo quesito, pur ponendomi la questione penso che sia il caso di lasciare decidere a ciascuno la propria strada. Non perchè so che sarà quella giusta, molto semplicemente non sono in grado di dare una risposta valida con senso generale. Tutt'alpiù posso dare un'opinione per il singolo caso particolare, con una probabilità di errore non quantificabile perchè non si può palesemente dire qual è l'errore (trattando la cosa con metodo scientifico).

D21 5 maggio 2013 alle ore 11:39  

La discussione sicuramente è importante e tante volte anch'io ho avuto occasione di farlo, ma questa è la prima volta dove mi si è posta in evidenza l'evoluzione dall'abbandonare un figlio all'orfanotrogio a ucciderlo con l'aborto. E' un cambiamento di approccio sociale pazzesco.

Sulle definizioni, io sono giunto alla conclusione che l'inizio della vita della essere simmetrico alla fine della vita. Mi spiego.
Uno muore quando cessa irrevocabilmente l'attività cerebrale, per similitudine si 'nasce' quando inizia tale attività (c'è un qualche momento nell'evoluzione del feto dove inizia a svilupparsi l'attività cerebrale, che però non ricordo quale sia).

Io rifiuto l'idea che la decisione di vita/morte sia una questione privata e non accetto che ci si arrivi per conclusioni personali perché se si ragiona in questo modo, allora anche la distinzione omicidio/eutanasia è una scelta privata.

Detto questo, anche fra le posizioni di ispirazione cattolica ci sono sensibilità significativamente diverse, ma non ragionerei in termini di etichette.

:-)

valentina 7 maggio 2013 alle ore 19:49  

Cari ometti, giusto perche' son dotata di utero e ovaie, vi lascio questo ulteriore spunto di riflessione: perche', alla fine, e' sempre la donna lasciata sola a dover scegliere, accollandosi tutte le colpe? Esistono, e' vero, casi in cui la scelta viene compiuta insieme, da entrambi i genitori, e l'uomo, che comprende quanto possa essere difficile qualunque opzione per la donna, le resta accanto e la sostiene. Ma sappiano tutti che non e' questo il caso al centro del discorso. Resto convinta, nonostante i tanti discorsi di cui ho esperienza, che non si tratti mai di una questione etica. E credo che chi sostiene il contrario manchi di esperienza di vita.

D21 9 maggio 2013 alle ore 11:50  

E' possibile trovare modi e forme affinché questa solitudine venga superata?

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