Maestri di cui ascolto in testi sparsi il suono

27/04/08

-introduzione-

Tre maestri che mett'assieme sebben non abbian alcun vero filo logico, eppur tutt'e tre insegnano insegnamenti importanti, che in questa solar domenica di fin'Aprile mi rimbalzan in testa. Ogni maestro che cito è, in verità, dedicato ad una persona che mi sta attorno, nello spazio o nel tempo vicina o lontana che sia. Ma non dirò le corrispondenze, ché qualcuno potrebbe fraintendere, e lasciar tutto in un sapor ambiguo credo possa esser più fertile per ciasched'uno.

-1-

"La prima felicità per un fanciullo è sapersi amato. Chi sa di sapersi amato, ama. [...] Si dia agio agli allievi di esprimere liberamente i loro pensieri. Bisogna ascoltarli. Trovarsi con loro. Prendere parte ai loro giochi. Occorre programmare il tempo assieme. E imparare a sorridere con loro", Don Giovanni Bosco.

-2-

Lo diceva con altre parole altre immagini, ma mi rimbalza in testa l'insegnamento di Hegel per cui è più forte non il Padrone che comanda e ferisce, ma il Servo che comandato agisce, che ferito sanguina. L'azione del servo lo rende più forte, la ferita-che-non-uccide lo rafforza di un coraggio temerario che il Padrone mai ferito non avrà. Lo Schiavo sa agire, fare, cambiare la realtà, sopportare le ferite. Il Padrone no e deve il suo status dall'esistenza del Servo. Se il servo se ne va, sarà forte e le cicatrici ne saranno il segno, mentre il padrone morirà di fame incapace di procurarsi il cibo.

-3-

"Gran parte della violenza scaturisce dalla disperazione di non essere interpretati, riconosciuti, valorizzati" Danilo Dolci.

-conclusioni-

Chiudo con quello che, per me, è il più grande tra i poeti d'italica lingua e, con molta probabilità, il primo tra tutti i poeti. Poeta perfetto, eguagliabile ed eguagliato nella perfezione, ma solo da chi venne dopo.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nutriva ‘l core
in sul mio primo giovanile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono:

del vario stile in ch’io piango e ragiono,
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, non che perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesimo meco mi vergogno;

e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quando piace al mondo è breve sogno.


(Francesco Petrarca)

-fine-

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