a proposito del fallimento di Pisapia
23/03/15
Sono e resto un convinto sostenitore di Pisapia e di quel progetto che lo portò a vincere primarie ed elezioni come Sindaco di Milano. Tuttavia, non posso nascondere che la sua amministrazione sia stata un fallimento e per questo sono contento che non si ricandidi. Purtroppo, non posso non sottolineare come credo nessuno abbia capito né ammetterà le ragioni di un fallimento che non sono per nulla riconducibili a Pisapia.
Personalmente, vedo tre limiti fondamentali fra loro collegati che hanno determinato questo fallimento.
1. Pisapia ha trovato alcuni buoni collaboratori, ma non ha mai costruito un soggetto politico organizzato, non un partito o altro che potesse dare forza al suo messaggio politico ed alla sua esperienza amministrativa. Un agire da solo che alla lunga logora quando si tratta di amministrare una grande città. Bisognava costruire una squadra che andasse oltre ai leaderismi.
2. Il cancro che ha azzoppato Pisapia ha un nome preciso: PD milanese, nelle sue varie anime. L'anima palazzinara delle coop rosse amiche di Penati, profondamente cementificatrici e disinvolte negli affari. L'anima arrogante dei renziani che pensano di comandare anche laddove non hanno partecipato alle elezioni. Il tutto condito da un partito che è ormai intimamente di idee di centrodestra, un partito le cui posizioni non differiscono dall'esperienza della Moratti se non per isolate personalità tipo Majorino che ho tanto criticato prima, ma che ammetto abbia lavorato bene come assessore, un partito che sopravvive grazie ad un'acritica disciplina di partito che ora va bene perché vincono. Ritrovarsi una partito di maggioranza relativa di destra è il male che ha provocato il fallimento di Pisapia e, legato alla mancanza del punto 1, si capiscono i fallimenti su scala locale.
3. L'errore di Pisapia è stato anche di non giocare mai un ruolo nazionale, come invece hanno fatto da sindaci Renzi, Veltroni, Rutelli o Chiamparino. La possibilità c'era quando per esempio Monti scaricava sulle disastrate casse comunali i tagli che faceva. Lì Pisapia doveva intestarsi la rivolta, ma avendo in maggioranza a Palazzo Marino lo stesso PD che faceva macelleria municipale a Roma ovviamente non poteva. Pisapia poteva essere una riscossa municipale alla crisi e invece si è limitato a fare il buon amministratore.
Vedo una possibilità, però, se Pisapia riconoscesse questi elementi e si unisse ad un processo come quello di Landini, personalità che a dire il vero non amo moltissimo ma che ha capito che bisogna partire da una coalizione sociale e non da una sommatoria partitocratica di eterni sconfitti.
Un altro mondo è ancora possibile perché, non dimentichiamolo, comunque Pisapia ce l'ha fatta e ha fatto molto meglio di Moratti, Albertini e tanti altri che rischiavano di portare Milano ancora più giù.
Personalmente, vedo tre limiti fondamentali fra loro collegati che hanno determinato questo fallimento.
1. Pisapia ha trovato alcuni buoni collaboratori, ma non ha mai costruito un soggetto politico organizzato, non un partito o altro che potesse dare forza al suo messaggio politico ed alla sua esperienza amministrativa. Un agire da solo che alla lunga logora quando si tratta di amministrare una grande città. Bisognava costruire una squadra che andasse oltre ai leaderismi.
2. Il cancro che ha azzoppato Pisapia ha un nome preciso: PD milanese, nelle sue varie anime. L'anima palazzinara delle coop rosse amiche di Penati, profondamente cementificatrici e disinvolte negli affari. L'anima arrogante dei renziani che pensano di comandare anche laddove non hanno partecipato alle elezioni. Il tutto condito da un partito che è ormai intimamente di idee di centrodestra, un partito le cui posizioni non differiscono dall'esperienza della Moratti se non per isolate personalità tipo Majorino che ho tanto criticato prima, ma che ammetto abbia lavorato bene come assessore, un partito che sopravvive grazie ad un'acritica disciplina di partito che ora va bene perché vincono. Ritrovarsi una partito di maggioranza relativa di destra è il male che ha provocato il fallimento di Pisapia e, legato alla mancanza del punto 1, si capiscono i fallimenti su scala locale.
3. L'errore di Pisapia è stato anche di non giocare mai un ruolo nazionale, come invece hanno fatto da sindaci Renzi, Veltroni, Rutelli o Chiamparino. La possibilità c'era quando per esempio Monti scaricava sulle disastrate casse comunali i tagli che faceva. Lì Pisapia doveva intestarsi la rivolta, ma avendo in maggioranza a Palazzo Marino lo stesso PD che faceva macelleria municipale a Roma ovviamente non poteva. Pisapia poteva essere una riscossa municipale alla crisi e invece si è limitato a fare il buon amministratore.
Vedo una possibilità, però, se Pisapia riconoscesse questi elementi e si unisse ad un processo come quello di Landini, personalità che a dire il vero non amo moltissimo ma che ha capito che bisogna partire da una coalizione sociale e non da una sommatoria partitocratica di eterni sconfitti.
Un altro mondo è ancora possibile perché, non dimentichiamolo, comunque Pisapia ce l'ha fatta e ha fatto molto meglio di Moratti, Albertini e tanti altri che rischiavano di portare Milano ancora più giù.
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