mi fermo per l'ospite inquietante...

09/02/08

Ancora Carlo.p mi ha segnalato questo video di Galimberti. Premesso che a me lui non piace perché trovo dica verità troppo di moda, vi invito a fermarvi quegli 8' per sentirlo. Parla dei giovani e del nichilismo, di questa generazione effimera ed indecifrabile.

Ricordo un bellissimo articolo di un altro filosofo, meno propenso a trovare verità larghe scegliendo quelle più profonde, in cui invitava Ratzinger a smetterla di dire che la minaccia è rappresentata dal Nichilismo imperante di Netzsche, il pensiero dominante è quello di Kurt Cobain, già anticipato dal movimento punk, la più importante avanguardia degli ultimi 30 anni, riassumibile in un "no future". Ratzinger dovrebbe quindi rinunciare ad un anacronistico confronto con Nietzsche andando verso autori quali, appunto Kurt Cobain, al suo Nichilismo punkettone.

Il Punk è una filosofia (seppure pochi la vogliano riconoscere come tale) che, affermatasi in chiave avanguardistica negli anni '70 in Inghilterra, domina ora l'Europa, cuore vecchio e pensante del mondo Occidentale ("l'America è grande e potente, il tutto e il niente, il bene e il male"). Il Punk è "no future", una consapevolezza da cui dipende tutto il resto. La famosa frase, da me citata più e più volte, che dice "il futuro non è più quello di una volta" (Brecht, citando Valentine, un cabarettista...) è all'origine della condizione attuale.
Il Punk, abbandonati gli aspetti più modaioli, si è diffuso filosoficamente in tutta la società al punto che ora si vendono i jeans stracciati in Via Montenapoleone. No future implica cultura dell'effimero, assenza di valori su cui costruire il lungo periodo, instabilità sentimentale sistematica, cultura dell'individualismo perché, se non c'è futuro, non ha manco senso organizzarsi un soggetti collettivi che costruiscano qualcosa.

La difesa di Ratzinger manca l'obiettivo perché Nietzsche, al contrario del Punk, ha un pensiero alto ed articolato. Il Punk, no.
"No future". Tutto qui.
Ed i Punker non sono più un'avanguardia, una minoranza che ieri ha capito quello che viviamo oggi. I Punk non sono più folklore agli angoli delle strade: i punker del no future hanno la camicia bianca e la Smart parcheggiata fuori, hanno abiti da sera e carte d'identità che non di rado arrivano ai 40 anni. I Punker che chiedono la monetina fuori dall'Esselunga sono ormai l'istituzionalizzazione di quel movimento, ma non sono più una novità. Probabilmente aveva ragione&torto Morgan che diceva [negli anni '90] che viviamo in una decade di decadenza. Torto perché questo periodo durerà più di una decade.

Tra i molti errori, credo che i più gravi siano da imputare a quelle persone che non vogliono riconoscere la cultura giovanile, punker o meno che sia, comprendendone il messaggio profondo, comprendendone linguaggi, segnali, contenuti. Il segnale è dato dal fatto che giusto De André viene riconosciuto come intellettuale giovanile (guarda a caso un raffinato anarchico, anche lui riconducibile ad un certo disincanto punker), solo De André ha gli onori dell'essere una cultura istituzionalizzata, quando invece lui appartiene già a qualche generazione fa.

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E' da tempo che ci penso, proposi quello che sto per scrivere anche durante un esame in università. Si tratta di una periodizzazione che - vi prego - non va presa alla lettera, ma un po' interpretata.

Gli anni '40-'50 sono l'età in cui la generazione della Resistenza ha costruito il mondo per cui aveva combattuto, per cui era morta in un conflitto di cui, chi è venuto dopo, non potrà mai capire la vera gravità.

Negli anni '60 i giovani che finalmente avevano potuto studiare rivendicavano gli errori di quella generazione che, tra tanto sudore e tantissimo sangue, li aveva cresciuto. Per la prima volta il '68 (inteso come simbolo, non come anno) viene a dire che "il mondo non è poi così perfetto".

La generazione degli anni '50 si sente sott'accusa, lei che ha sudato ed è morta viene ora contestata dai suoi figli e negli anni '70 il conflitto si fa violento nella frattura generazionale di chi, avendo fatto la guerra, non capisce come sia possibile essere criticati.

Fallita una soluzione creativa, negli anni '80 i fratelli minori degli anni '70, dove è nato il punk, si ritirano ad ascoltare Simon LeBon.
Negli anni '90, riparte una contestazione globale che però assume presto la potestà non di una lotta generazionale, ma politica, come quella del movimento operaio di fine '800: non lotte generazionali, ma di classi sociali. Qualcuno crede che "No Global" possa sostituire "No Future", ma ben presto ci si rende conto che non è così e "new global" non si afferma schiacciato dalla persistenza del pensiero Punk.

Questa periodizzazione andrebbe raffinata moltissimo e non è un vero trattato storico, per cui non sarei adeguato, ma una proposta di ragionamento. Una provocazione.

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Tutto questo non è un ragionamento completo, è giusto il post di un blog con pensieri sparsi che cercano di interpretare una realtà quantomai difficile. Credo però che, se si prestasse maggiore attenzione alla cultura dei giovani, a quello che loro (noi) ritengono importante si potrebbe cercare di trovare soluzioni creative positive. I giovani non sono solo un problema di marketing, almeno non dovrebbero essere solo questo.
Mi riprometto di approfondire il tema dell'Etica delle capacità, legata al ballare, a Weber e alla capacità di saper fare domande.

2 commenti:

Anonimo 13 febbraio 2008 alle ore 10:59  

Interessante la prima analisi sul punk. Chiedo supplemento d'indagine sulla seconda parte.

D21 15 febbraio 2008 alle ore 21:31  

hai ragione, dovrei risistemare la seconda, ma ultimamente ho così poco tempo. Quando l'ho riletta è buttata giù un po' così. Rimedierò.

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