c'era una volta Marco Pantani

18/07/08

Tutte le volte che passo davanti alla casa di quel mio compagno di scuola non posso non pensarci, ed in questi giorni il pensiero ha una ragione in più per tornarci.

Andrea abitava (e forse abita ancora), in una di quelle vie circolari che coronano l'Arco della Pace e disegnano l' "arco "da cui parte Corso Sempione, a Milano s'intende. A casa di Andrea andavamo tutti i pomeriggi di tarda primavera, dopo aver fatto i compiti, a vedere le puntate del Giro. Eravamo un gruppetto di liceali che si entusiasmava per un solo ciclista: "quando parte il Pirata?", "dai sento che adesso Marco parte... eccolo, si alza sui pedali, adesso non ce n'è per nessuno!". Il "nemico" da battere era Miguel Indurain, quello spagnolo noioso che "però è un signore, un vero campione". Ma cosa ce ne fregava, noi tifavamo solo per Pantani. Pomeriggio dopo pomeriggio attraversavamo l'Italia tifando e urlando per quell'omino in giallo che veniva dalla Romagna: "Ci sono stato a Cesenatico" potevo vantarmi io per aver visto quel piccolo centro in riva all'Adriatico.

Erano i suoi anni d'oro, come la sua maglia. Poi, Noi ci separammo come gruppo mentre anche lui aveva qualche guaio, qualche brutta storia col doping. Le prime volte che accadde già non ci trovavamo più a casa di Andrea (per cicli nostri della vita), ma continuavamo a commentare per telefono chiamandoci mestamente dopo l'ennesima esclusione.

Fino al giorno più brutto. Quella sera in cui arrivò la notizia. Quei miei amici erano lontani, li sentii solo alcuni giorni dopo. Lontani erano anche Andrea e la sua casa (chissà che fine ha fatto, ogni tanto l'avevo rivisto in giro...). Il suicidio di Pantani non è il suicidio di un drogato, né il gesto titanico di un eroe. Un uomo distrutto da un sistema che non perdona, che ti spreme, ti sfrutta e poi ti dimentica nel male peggiore. La sua è una parabola sociale che trascende il dramma personale (pure grandissimo). La solitudine di quella stanza d'albergo era la nostra solitudine, il nostro aver smesso di seguirlo nonostante tutto, nonostante la gloria sia passata. E' facile e forse retorico, ma credo non sia banale né sbagliato dire che Pantani sia stato vittima del sistema, un sistema di merda che ha distrutto un uomo, e da questo non si torna indietro.

Sì, mi metto tra i ragazzetti che si entusiasmavano per quel pelatino romagnolo. Ci stava simpatico sin da quella sua prima fuga quand'era alla Carrera con Chiappucci. La sua storia è quella per cui tifavo perché mi entusiasmava.

Da allora non seguo più il ciclismo, mi è impossibile. Mi piaceva Gotti, mi stavo entusiasmando per quel... Riccò... già, questo giovane che pareva farmi rivivere quei momenti e invece temo di rivivere la stessa analoga storia, ma l'hanno stroncato sul nascere prima che ci si potesse entusiasmare. Vederlo circondato dai gendarmi fa male sia a lui, sia alla mia memoria che ricorre a Marco.

Sì, io ricordo. Io mi ricordo i pomeriggi a casa di Andrea a tifare Pantani, entusiasmarmi sulle sue salite, gli stacchi, l'allungo che non arrivava mai... ma quando arrivava!!! e quando cantò la sigla del Giro e quando si fece il sellino con il pirata e quando festeggiò a base di piadine e poi ... e poi... la fine, brutta brutta, che peggio non poteva andare. Sì, io stavo per Pantani e mi ricordo, sì io mi ricordo...

3 commenti:

Anonimo 21 luglio 2008 alle ore 17:10  

molto bello il post duca. io stavo e sto dalla parte di Marco. e rivendico con orgoglio che, a differenza di tanti altri compreso riccò, pantani non fu mai squalificato per doping. e questo rende la sua vicenda ancora più assurda e drammatica.
papero

Anonimo 24 luglio 2008 alle ore 14:25  

la vicenda pantani è stata la finestra sul devastante e costante utilizzo di droghe nel ciclismo professionista italiano.

io a posteriori non riesco proprio a imamginare perchè uno, di fronte all'esigenza dei fatti, dovrebbe stare, ora, dalla parte di pantani. soprattutto se era un suo tifoso.

OrsaLè 25 luglio 2008 alle ore 15:28  

Era il primo san Valentino con Orso. Mi aveva portato a Varenna, sul lungolago, a bere Bardolino e biscottini al cioccolato. In macchina, perchè si gelava. Radio accesa, musica e poi la notizia. E il sangue che gela.

Non è questione di stare con Marco allora o adesso per me: è questione di ricordare l'uomo che è stato, di ricordare che proprio in quanto uomo, uno, gli errori li può commettere. Ricordare che di quel 14 febbraio ci sono tante cose non chiare.

Ricordare che anche se uno avesse sbagliato e avesse continuato a sbagliare,
1. non lo si avrebbe dovuto abbandonare così
2. neppure uno recidivo meritava una fine come quella.

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