Di ritorno a Milano, si parlava di quest'Italia. Mi sono reso conto che il tramonto di Prodi è il tramonto di una classe politico-culturale. Prodi e il suo entourage rappresentavano la maturazione della cultura politica nata comunista e che, sdoganatasi dall'ideologia della Falce&Martello, era maturata in una classe di governo.
Delle origini del Prodismo
Una generazione di intellettuali, molti di loro Professori universitari, che liberatisi da incrostazioni ideologiche avevano maturato un progetto di riformismo illuminato (su questo aggettivo ritornerò in seguito) per l'Italia. Una generazione di studiosi di Sinistra, nell'accezione più alta (direi "agostiniana"), che sapeva conciliare le frange avanzate della dirigenza democristiana (assai esperta nel gestire le cose dello Stato e in contrasto con il Democristianesimo conservatore e con quello - peggiore - clientelare) con la classe di intellettuali rossi. Dicevo "illuminati" perché in fondo incarnano lo spirito lungo dell'illuminismo, sebbene culturalmente non si possa dire che derivino da quella matrice (forse da Rousseau, non direi da Voltaire o, peggio, Diderot).
Quella generazione di prodiani venne eletta a guida da quattro diverse frange:
1. innanzitutto dal blocco popolare progressista (quello delle cooperative bianche) che formò il PPI (esperienza che per certi versi rimpiango e che ho rivalutato col tempo) staccandosi dalle frange conservatrici e più clientelari della DC. Da questo blocco direttamente veniva Prodi e questo blocco rialzava la testa dopo essere stato letteralmente decapitato attraverso la drammatica morte di Aldo Moro, omicidio umanamente brigatista, ma politicamente lasciato in agonia dai democristiani conservatori.
2. Una parte dell'ex-PCI che aveva maturato la volontà di assumersi la responsabilità di governo, allontanandosi e acquisendo autonomia definitiva dall'URSS e dalla sua ideologia, da cui era sempre rimasto critico e che aveva costituito la frangia decisiva per il successo del PC italiano. Culturalmente, era quella parte che aveva costituito il centro-sinistra degli anni '60 e che era pronto ad accordarsi con Aldo Moro.
3. Una blocco rosso opportunista che vedeva finalmente l'occasione di arrivare al potere, potendosi vendicare di decenni di sudditanza e angherie da parte della DC clientelare. Da un lato intuivano che quella generazione poteva essere l'occasione di arrivare al potere politico mostrando pubblicamente la faccia dei prodiani, ma dietro le quinte potendo sostituire il loro rosso clientelarismo con quello bianco che aveva dominato dal dopoguerra.
4. frange di sinistra estrema che avevano una loro base radicale e radicata, come in ogni paese, ideologicamente allineati al marxismo ortodosso. Frange estremiste incapaci di governare, ma che - da un lato - erano state coinvolte per accapparrarsi i voti e - dall'altro - vedevano finalmente l'opportunità di partecipare al Governo del paese, dopo anni e anni di ostracismo.
Queste quattro matrici che ho rapidamente stilizzato si accordarono attorno ad un progetto di cui Prodi era l'uomo-simbolo, ma le loro differenze portarono al fallimento del progetto. Progressivamente vennero incorporate alcune frange (come alcuni opportunisti bianchi per cercare di allargare la base e costruire maggiore consenso, ma a niente servì.
Attorno a noi, la Francia non ha mai intrapreso la via prodiana della Sinistra attraverso la marginalizzazione di Strauss-Kahn, mentre l'analogo di maggior successo di questa corrente è il tedesco Schroeder. Tali paragoni sono utili, ma difficili e da prendere con le pinze: l'unica raccomandazione è di non cercare paragoni con la politica anglosassone.
Del post-Prodismo: eredità personali e urbane
Ora il progetto di Prodi è definitivamente tramontato ed un altro centro-sinistra deve sorgere, anche se non vedo molti segnali di speranza né in Veltroni né in D'Alema. Letta appare - a mio avviso - l'erede del Prodismo, ma attorno a lui non c'è quello staff bolognese né lui ha la maturita politico-culturale per assumersi un ruolo di leadership.
In parte, è giusto che sia così perché dopo una sconfitta come quella recente bisogna andare giù giù, rimettersi in discussione per rinascere (come già fece Fassino coi DS dopo il 2001), solo che mi riesce difficile vedere elementi positivi di crescita.
Prodi cade portando al definitivo declino politico-culturale la città di Bologna, localmente implosa un decennio fa al punto da far vincere Guazzaloca e da dover ricorrere a un non-Felsineo per tornare rossa; Torino stenta a essere riconosciuta come guida per la Sinistra nazionale, nonostante a mio avviso sia l'unico valido progetto esportabile (assieme a Brescia, prima che fosse falciata dal fuoco-amico), a differenza di Firenze (più che un buon-governo, resta un'enclave di resistenza) o peggio Napoli (dopo la prima grande stagione di Bassolino, è implosa nel clientelarismo rosso). Torino è la speranza per la Sinistra, ma Fassino pare sia stato accantonato e non si capisce la forza del Castellanismo (Valentino Castellani era il Sindaco prima di Chiamparino, colui che ha aperto a quella generazione di Sinistra piemontese, restando poi lui marginale).
Delle gravi preoccupazioni culturali
Quello che assai più mi preoccupa è il montare e dilagare di un certo revisionismo culturale (più che storico). Mi riferisco al dilagare implicito che questa nuova Destra maturata nel berlusconismo e che sta dimostrando già da questi primi mesi di essere definitivamente matura. Ne parla Diamanti, ma lo si vede nelle fiction della RAI e, peggio, nell'elevazione a cultura di simboli intellettuali che, in quanto simboli, non hanno valore intrinseco ma sono solo buoni da elevare.
L'elezione di Alemanno a Sindaco di Roma è l'implicita autorizzazione politico-culturale alla Destra neo-fascista di spadroneggiare con le sue neo-squadracce. Parlo di "implicita autorizzazione" perché se la maggioranza della Città Capitale elegge un Sindaco con tale passato significa che quell'estremismo è, in fondo, considerato un male minore: pestare 3 ragazzi di Sinistra o devastare un negozio di indiani è qualcosa di tollerabile, marginale. In altri tempi, si sarebbe detto che le squadracce e le leggi razziali erano un minore sacrificio per avere un Impero con i treni in orario.
La Fallaci eletta scrittrice di regime (ché gli Architetti di regime non van più di moda), feticcio da adorare solo per dimostrare che la cultura è anche di Destra. Un proliferare di ricordi di D'Annunzio e Alighieri, di fianco allo sdoganamento (commercializzato, ovviamente) del "caro" Benito. Paccottaglia, più che cultura, come questo articolo dimostra: premesso che stimo e mi piace moltissimo Guareschi (lo giudico sicuramente un grande della cultura italiana del XX secolo), quell'articolo dimostra la pochezza culturale di chi vuole solo delegittimare il ruolo culturale di Pasolini e di certa cultura di Sinistra.
Per la cultura italiana, affermazioni faziose
Già, infine eccoci a parlare della cultura di Sinistra: delegittimata, annichilita, spodestata dal suo presunto monopolio. Un monopolio costruito sul fatto che chi studia, conosce, capisce, interroga e interpreta la realtà con spirito critico non può che arrivare ad essere "di Sinistra". Quest'appartenza non indica tanto da che parte si mette la scheda di voto, significa il voler cambiare le cose, riconoscendo le ingiustizie fatte a danno degli uomini e della Realtà che ci circonda, riconoscere la necessità di una Solidarietà umana (altresì detta "Carità cristiana") che non può tollerare violenza, ingiustizie e abusi. Poi, le soluzioni non sono univoche e per questo la Sinistra litiga e si divide su tutto. Sia chiaro che questa distinzione della Sinistra ovviamente non coincide con gli schieramenti politici, quanto con quelli (socio?-)culturali della politica.
Scrivo con la speranza che, in primis a me, la consapevolezza di tutto questo possa far sì che si attivi una reazione civile. Sogno il mio paese al fine dignitoso.
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