a spot sulla crisi finanziaria
12/05/09
Premesso che la crisi finanziaria durerà ben di più di quanto la gente immagini o, meglio, di quanto si voglia dar da credere alla gente, due aspetti vanno considerati.
Il primo è che sembra che in Italia la crisi non si rifletta troppo in termini di impiego, nel senso che i licenziamenti sono assai limitati. O meglio, più specificatamente, la struttura del mercato del lavoro italiano fa sì che più che licenziamenti, non ci siano nuove assunzioni per i contratti precari. Pochi licenziamenti (assai facili nel mondo anglosassone), ma neanche nuovi posti per i precari che prima vivevano da un contratto all'altro.
Secondo, la gente dovrebbe chiedersi cosa sarà dell'economia e della sua distribuzione geografica dopo la crisi. Ovviamente, la distribuzione non è se alcune attività andranno da Milano a Bollate, ma l'Europa rischia di perdere buona parte del suo peso relativo, a meno che non punti seriamenti sull'integrazione delle economie nazionali spingendo verso certe specializzazioni regionali. La crisi non è affatto globale: colpendo duramente l'economia liberale anglo-americana (che paga le sue colpe), emergono economie che non possono più essere considerate emergenti (Brasile e India, ma anche la Cina che fa più paura di quanto non lo sia veramente, il suo potenziale è ancora tutto da scoprire). Una ridistribuzione dei ruoli relativi che vedrà crollare i paesi europei se ancora ragioneranno a livello di Stati-Nazioni (o nelle versioni più audaci di Stati collaboranti). Bisogna puntare all'Europa delle regioni, superando i confini nazionali e gettando il cuore oltre l'ostacolo, come fecero Italia e Germania quando si unificarono, abbandonando del tutto le interne divisioni.
Credo che nessuno faccia adeguata attenzione a questi due punti, e per nessuno intendo la classe dirigente. Su questo bisogna mobilitare l'opinione pubblica e costruire il consenso politico.
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