Riconosco subito la campanella dell'Abate, mi alzo di scatto e corro in camera sua ché mai quella campanella si era agitata tanto. Tossiva l'abate mentre stavo entrando. Poi, in mia presenza, il contegno prevalse e mi chiese di quel vino che gli aveva prescritto il medico: un vino fruttato e speziato da bersi caldo con tanto miele che copriva le medicine evidentemente disgustose. L'Abate lo beveva di gusto, ma senza farlo vedere e adducendo la scusa che gli facesse bene. Il medico sapeva che era l'unico modo perché si curasse.
Era rientrato da Gerusalemme da alcune settimane, probabilmente per curarsi, ma non era dato sapere se si fosse ammalato a Gerusalemme, durante il viaggio o al rientro. Questa volta avevo sentito poche malignità su questa cosa perché pochi sapevano del suo rientro e quindi pochi potevano malignare. Oltretutto, l'Abate si era stabilito lontano dalla Torre e da St. Paul, ma aveva disertato anche l'abbazia di Southwark, preferendone una ancora più piccola, sempre sulla riva meridionale, ma più ad est.
Assistevamo l'Abate in tre con l'ordine di mantenere un certo riserbo, lo stile spartano e sobrio preservandolo dall'eccesso di contatti con la Corte, particolarmente turbolenta in quei giorni. La notizia del rientro dell'Abate avrebbe potuto provocare entusiasmi ingiustificati, presto depressi dalla notizia della sua malattia. Per questo, si scelse maggiore riserbo e solo il Metropolita von Braun era in costante contatto con l'Abate.
Guardavo quell'uomo più stanco che vecchio: la malattia gli aveva scavato il volto, mentre le coperte non riuscivano a nascondere una pancia ingrossatasi più del dovuto. Chiacchierammo un poco, mi chiese della mia fidanzata mentre gli versavo il secondo bicchiere. Risposi che la lontananza ci pesava e che avrei voluto tornare a Plymouth a trovarla. Rimase in silenzio guardando il bicchiere.
"Sono stanco, sai? Ma non è questa storia che mi sta uccidendo, anzi è lei che mi tiene ancora qui". Non capii a cosa si riferisse e gli versai il terzo bicchiere. Sapevo che stava lavorando a qualcosa di molto importante con il Metropolita, ma non sapevo leggere né capire quelle discussioni, spesso in latino, che i due facevano sin da prima dell'alba e poi fino a tarda notte. Ero solo sorpreso dal vedere il Metropolita così spesso da queste parti e sempre in abiti riservati, mentre l'Abate lavorava silenziosamente concedendosi ampie pause di sonno per riposarsi.
Ricordo la prima volta che vidi l'Abate: un giovane nerboruto, dal carattere duro e determinato che correva per la Capitale diventando prestissimo familiare a tutti noi. I vecchi dicevano che con lui arrivò la calma, almeno a Londra, anche se il suo pessimo accento gli limitava i discorsi con i più anziani. I capelli lunghi, la barba ruvida e gli abiti sempre scuri erano la sua divisa.
"Vedi, è la prima volta che decido, e non per forza, ma per volontà. E decido io solo. Per altri, tanti altri". Eravamo già al settimo bicchiere e l'Abate mi stava dimostrando un'incredibile sopportazione a quel "vino", non pareva minimamente né ubriaco, tantomeno stanco o nervoso, mentre i miei occhi calavano vistosamente finché mi lasciò andare a dormire.
Mi guardo intorno e Westminster è piena. Tengo d'occhio l'Abate in seconda fila, dietro al Metropolita che celebra. L'Abate è visibilmente provato con la sua testa scavata su un corpo coperto dalla tunica solenne con la Croce di Scozia: non capisco se stia pregando o se si aggrappi al Pastorale per non cadere dalla debolezza della malattia. Eppure, stamattina fisicamente pareva star bene, tosse a parte. Durante la consacrazione, ho visto che non muoveva la bocca, se non appena appena, assorto com'era nel suo raccoglimento. Prima della cerimonia, si era appartato con Dancryng che gli aveva portato una lettera di Pietro: a quel punto dovetti uscire e lasciarli soli.
"Il Re sarà scelto dai notabili di Britannia, non vigerà l'ereditarietà". Queste parole generarono un brusio in tutta Westminster e sentivo che da fuori rimbalzano di bocca in bocca. La scelta, come da tradizione, piuttosto che la legge abitudinaria voluta dagli altri del continente che imponeva il diritto di sangue. Penso che su queste parole l'Abate mi stia cercando con lo sguardo, o forse è solo una mia impressione. Mi pare, forse me lo auguro, di capire ora a cosa si riferisse al discorso nel discorso di ieri notte. Mi raccolgo la tunica e mi avvio verso la sagrestia per aiutarlo.
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