pensiero di fine anno
31/12/07
L'abito non fa il monaco...
...però intanto i monaci usano tutti lo stesso abito per farsi riconoscere.
| I'm not noble and I don't believe in it. I think there're past worlds, worlds that have to come and worlds that will never be, hopefully or unlikely, my Duchy is one of these worlds. | Non sono nobile e non credo nell'aristocrazia. Credo ci siano mondi passati, mondi che devono venire e mondi che non saranno mai, per fortuna o purtroppo è così. Il mio Ducato appartiene a questi mondi. |
L'abito non fa il monaco...
...però intanto i monaci usano tutti lo stesso abito per farsi riconoscere.
Bologna è una città che mi ha sempre riservato storie che meritano di essere raccontate, a partire da uno dei primi post di questo blog ad un altro blog che vi consiglio perché vi trovate foto bellissime (anche se parigine).
Premessa, conobbi Lucia ed Enrico (nomi di fantasia, come in ogni storia di cronaca che si rispetti) in una sera a Ferrara. Appena tornato dall'Erasmus - Feb '04 - , mi ritrovai nella città dell'Ariosto a cena tra altri francesi (sic!) e conobbi Lucia, prima, ed Enrico, poi. Nonostante io sia una persona appassionata ed innamorata di quello che studio/faccio nella vita, quella sera non avevo nessuna voglia di parlare di Urbanistica e Pianificazione territoriale (la conversione verso l'economia territoriale avvenne dopo), eppure Lucia mi attaccò un bottone nonostante l'unico mio interesse fossero l'allegra compagnia ed il vino... Ricordo Ferrara sotto la neve, Enrico portò Lucia a fare le sgommate sulla neve nel parcheggio dietro le mura. Ricordo quei pochi giorni come una nicchia nella memoria anche se, purtroppo, rappresentarono il passaggio di chiusura di una mia qualche vita fa e che, solo a tratti, riaffora in maniera talvolta strana.
Ma torniamo ai due personaggi, di cui ribadisco che Lucia ed Enrico sono nomi di fantasia, perché ieri mi han chiamato e, sebbene fossimo rimasti in contatto via email, non ci eravamo più visti, e comunque allora era stata la conoscenza di una serata e poco di più ed, appunto, quella sera io ero più interessato al vino ed a sparar cassate, per dirla all'emiliana.
Ieri mi chiamano ed eccoli arrivare oggi a Milano dicendo "veniamo a fare il capodanno da nostri amici di Bollate" (da Bol-ogna a Bol-late, il passo sembra breve...). E quindi ecco un'ottima scusa per ritrovarsi sotto la Torre Velasca (sic!).
La cronaca parla del "solito" giro turistico che faccio fare a Milano perché - lo ammetto - mi piace far da guida turistica e far vedere che Milano non è poi così brutta come troppi dicono, che sotto la Madonnina non è tutto da buttare ed abbiamo anche noi una grande storia che non ha nulla da invidiare alle altre grandi città dell'Europa, anzi... Ma non è di questo che voglio parlare.
Mangiandoci una pizza in compagnia (in questi giorni Milano è desertica), il discorso con Lucia ed Enrico è stato molto interessante e, come nelle migliori delle discussioni, ne è nata nuova conoscenza, nuova capacità di ragionare sui problemi e... insomma, una di quelle discussioni importanti di cui ce ne vorrebbe almeno almeno una al mese (ma anche molte di più). Partendo dal problema delle caldaie troppo inquinanti si è arrivati ad una critica radicale del nostro modello di sviluppo alla ricerca di un modello che potesse essere veramente sostenibile. La loro critica era (è) estrema, radicale, disarmante e quindi interessante e degna di essere approfondita, studiata, capita e perseguita; la mia più pragmatica e meno idealista, basata più sul possibilismo dell'esistente che su quello che dovrebbe essere. Mi sono accorto di aver messo da parte molti dei miei Ideali in favore di un pragmatismo realistico degno di Brandt e coerente con l'anima più milanese e con l'etica ambrosiana, ma che non ridiscute alcune regole, per esempio, dell'economia.
La loro critica, anche alle attuali necessità di commercio che disumanizzano la realtà umana, sono difficili da riportare qui, ma effettivamente pertinenti e permettono di uscire da una certa cornice entro cui pur'io ragiono. Forse, la vera fortuna è quella di un punto di vista radicale ed estremo (sia chiaro: argomentato, ragionevole ed "alto", mai ideologico o banalizzante) che permette di ridiscutere alcuni meccanismi di cui io mi limiterei ad auspicare un loro diverso funzionamento (io direi che le macchine devono inquinare di meno e che è meglio il trasporto pubblico, loro criticano proprio la necessità di doversi spostare...).
Il nostro modello di sviluppo (occidentale, capitalistico, basato sul benessere materiale, ...) non va corretto, com'io invece ritengo, ma - secondo loro - proprio re-indirizzato. Il discorso ha attraversato la sfera economica e ambientale, senza tralasciare gli aspetti sociali e territoriali e sfiorando quelli spirituali e filosofici.
Ma non si pensi che Lucia ed Enrico siano pazzi, freakkettoni, bolscevichi, rivoluzionari, sono due "normali" studenti di Architettura, lei già laureata lui in tesi.
Alla fine di questa storia, le cose importanti sono tre:
1. Imparare a ragionare, discutere, confrontarsi e parlare con occhio critico. Succede non sempre, mi sono ritrovato anche talvolta a fare discorsi degni della De Filippi e invece oggi no.
2. Bisogna imparare ad ascoltare i punti di vista radicalmente diversi, quelli di chi - ragionando - mette in discussione cornici logiche pur forti, come il pensiero economico sedimentatosi nei secoli, ma senza cadere nell'ormai banale cornice incrostata di marxismo. Gli estremisti resteranno minoritari, ma servono per far ragionare le maggioranze.
3. Ho recuperato un pezzo del mio passato che vale la pena inserire stabilmente nel presente (e nel futuro), depurandolo di altre storie passate che invece dovrei limitarmi a ricordare.
Credo sia un buon modo per finire il 2007. Credo.
Torno a parlare di politica dopo un periodo di disinteresse (dovuto a saturazione) per rispondere, dal mio piccolo, a questa intervista di Odifreddi. Avevo sentito parlare più volte di Odifreddi, ma ammetto di non averne mai letto niente prima e per questo sospendevo il giudizio. Poi, questa sua lettera a Repubblica.it mi ha fatto proprio arrabbiare.
Premetto che non amo i Teodem e trovo che la Binetti nel PD sia una forzatura politico-culturale che ci si sarebbe potuti risparmiare (ricordiamo che l'Opus Dei sosteneva con alcuni Ministri il governo fascista di Franco), è anche vero che Odifreddi rappresenta l'opposto di cui vorrei - altrettanto - fare a meno.
Partiamo dalla prima bozza di dichiarazione dei Valori del PD: "Noi concepiamo la laicità non come un'ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta e illusoria neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali e dei convincimenti morali, come riconoscimento della piena cittadinanza - dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata - delle religioni". Io trovo questa dichiarazione assolutamente condivisibile, giusta, un buon lavoro svolto da parte di chi sta lavorando all'Assemblea costituente del PD: questa è una sintesi adeguata, forse perfettibile come tutte le cose, ma a me già così va bene. D'altronde, le religioni esistono e, a parte alcuni Protestanti prevalentemente Anglosassoni, hanno tutte una loro sfera pubblica, a partire dal Cattolicesimo (religione che, per definizione, non può essere relegata alla sfera privata). Odifreddi dà voce, invece, ad un anti-religiosismo (si può chiamar così?) aprioristico, cieco, integralista e bigotto. Le religioni ci sono e sono la manifestazione più umana della nostra umanità da quando l'uomo può ritenersi tale, negarle come vorrebbe fare Odifreddi ("mi limito a constatare che essi hanno visioni del mondo antitetiche a quella scientifica, e più in generale alla razionalità") è un (suo) errore intellettuale, anzi di più un crimine intellettuale contro l'umanità.
Dar credito a questo genere di posizioni non aiuta neanche a risolvere alcuni problemi, che pure ci sono, tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica (es. i meccanismi di distribuzione dell'8 per mille sono iniqui). Inoltre, dire che la religione è antitetica alla razionalità è un abominio intellettuale, sarebbe come dire che teologi del calibro di S. Agostino non erano razionali, dare dello stupido a San Francesco d'Assisi e, insomma, dire che per millenni ci sono stati milioni e milioni di persone anti-razionali. Poi, a differenza di Odifreddi, riconosco a lui come a Bagnasco e Ruini prima di lui il diritto di esprimere opinioni, ma col loro diritto di parola in pubblico c'è anche il mio di giudicarli, soprattutto nella misura in cui Odifreddi ha una carica politica nel PD.
La tesi che voglio sostenere è che si sia creato un clima di Religionismo vs anti-Religionismo che non aiuta il dialogo ed affrontare alcune sfide politiche che invece andrebbero affrontate. C'è un religionismo ridicolo da una parte (Berlusconi paladino del Family day, ma stiamo scherzando???) ed un anti-Religionismo insopportabilmente integralista ed ossessionato dall'odio verso la Chiesa (posizioni come quelle di Odifreddi hanno ampio seguito nella Sinistra, anche e diffusamente tra gli ex DS).
Questo conflitto caratterizzante l'Italia di oggi non è più costruttivo da tempo: la Bindi e la frase riportata della Costituente del PD sembrano indici di speranza che qualcosa di meglio è possibile.
Speriamo, su questi temi non possiamo cavarcela con un tant'è...
PS
ho visto solo dopo aver scritto questo post, l'intervista che Bertone ha rilasciato al Corriere. Mi sembra un'intervista equilibrata e condivisibile che invita soprattutto ad evitare certe derive "odifreddiane", mentre meriterebbe maggiori approfondimenti il tema dell'omofobia che rimando ad un prossimo post.
Finalmente, dopo tanto tempo, eccomi a spiegare cos'è la Filosofia del Tant'è.
Premessa storica: il "tant'è" nasce da un mio professore di Politiche urbane dell'UE che, in realtà, era uno "molto poco prof" (era un tecnico della Regione Emilia-Romagna). Il suo esame onestamente non era difficilissimo (presi 30 e Lode, ma erano solo 4 crediti...), ma veramente molto interessante perché - per la prima volta - sentivamo direttamente un punto di vista interno ad una Regione e, caso unico al PoliMi, di un'area non-Milanese (Emilia Romagna, appunto...).
Questo prof si faceva chiamare per nome (privilegio che al Poli è concesso solo da alcuni prof giovani e solo ad alcuni laureati...) e non ci ha mai dato la sua mail perché aveva preferito darci direttamente il suo cellulare (privato, ché in Regione mica te ne danno uno da lavoro...). Più che un prof, io l'ho considerato sempre un amico/cugino un po' più grande, già laureato e che ti raccontava veramente come si lavora in una PA (oltretutto importante come la Regione Emilia-Romagna), senza accademismi e senza peli sulla lingua, con quel modo di fare allegro, entusiasta e semplice di chi accademico non è anche se forse gli piacerebbe un mondo esserlo.
Spero che abbiate capito di che tipo di personaggio sto parlando (non importa che lo conosciate, tanto non insegna più al Poli, anche se è sempre alla Regione Emilia-Romagna...). Bene, lui ripeteva sempre "tant'è", aggiungendo pure un gesto della mano come a voler dire "tant'è, ora giriamo pagina e andiamo avanti". Da allora mi ha attaccato questo "tormentone": in parte, ho preso questo suo insegnamento ed, in parte, l'ho un po' rielaborato in chiave più mia, più "milanese".
Tant'è significa che "tanto è così", si tratta di una presa d'atto tra il rassegnato e l'ironico. Tant'è significa che si capisce come vanno le cose e che forse sarebbe meglio se andassero diversamente, ma in fondo o non ci si può far niente o, forse, le cose più importanti della vita sono altre. Un tant'è non è poi così tanto rassegnato perché, in alcuni casi, si sa che è inevitabile, il giudizio di valore espresso è molto moderato, ironico e leggermente tagliente: un tant'è di presa d'atto...
Tant'è è milanese nel suo pragmatismo che prende atto e va avanti senza lasciarsi influenzare più di tanto; tant'è è emiliano nel suo confrontare la realtà che è con quello che dovrebbe essere, ma senza dannarsi l'anima se non è così. Tant'è perché non tutto di quello che non ci piace dipende da noi, anche se averlo detto ci fa sentire un po' meno colpevoli, seppur senza vincere l'impotenza. Tant'è è anche ironia perché, capito il gioco, si deride un po' quello che non va, ma senza lasciarsi invischiare dal gioco stesso. Tant'è è snob? Forse sì, ma nell'accezione di "sine nobilitate" cioè di qualcuno che si pone su un piano un po' superiore "avendo capito come gira il mondo", forse no perché in fondo non si condanna veramente, come invece fanno gli snob, quelli veri. Nella sua semplicità il "tant'è" va bene un po' dappertutto, ché in fondo non provoca fastidio o disagio: si prende atto e si va avanti, senza veramente condannare nessuno (però ne abbiamo preso atto...).
Perché mi piace così tanto il tant'é? Mah, è un buon modo per chiudere molti pezzi di questo blog, è un atteggiamento che rispecchia le mie origini, non trovo sia grave e mi rendo conto di essere impotente di fronte a molte cose che non mi piacciono di questo mondo, ma ne voglio prendere atto e questo è già un piccolo passo nella sfera del possibile. E' un modo di dire che mi è piaciuto di un "prof" che ho apprezzato, sinceramente, come probabilmente questo post dimostra.
Non rivendico nessun copyright, tant'è deriva dalle nostre origini italiane (provate a tradurlo in qualche altra lingua!) e quindi, con umiltà, proseguirò a chiudere i post con un tant'è...
Premetto che a me Santo Stefano sta molto a cuore perché è il primo martire della storia, ovvero il primo (di una lunghissima e bimillenaria serie) che c'ha lasciato le penne per la Fede. Credo che solo per questo Santo Stefano meriti rispetto.
Premesso questo, del Natale '07 conserverò nel cuore gli auguri di alcuni amici europei, dalla Spagna al Belgio passando per la Francia e così via. Li conservo perché, sebbene chi ci ha preceduto ci abbia lasciato un mondo bello, ma con scarse prospettive ("il futuro non è più quello di una volta", diceva Brecht citando Valentine), quello è il segno della più grande speranza che abbiamo ovvero l'Europa unita, un'Unione europea che si fa (anche) attraverso gli auguri di Natale e la condivisione di queste feste.
Condivido con Voi questa speranza perché del futuro dobbiamo preoccuparci, perché è lì che vivremo il resto della nostra vita (citazione di non ricordo chi, eh eh).
Tutto ha inizio con i miei Nonni, quelli del lato di papà, ché erano tanto brave persone di sangue emiliano, ma con qualche controindicazione: la prima è un forte vincolo familiare e, secondo, che siamo una famiglia particolarmente numerosa. Sommando le due cose si capisce che il giorno di Natale, quando per definizione ci si ritrova tutti, richiede una macchina organizzativa enorme perché, sempre per il sangue emiliano, il gran consiglio degli zii (ormai diventati nonni) organizza un banchetto enorme, ovviamente secondo un menù che ha alcuni capisaldi emiliani imprescindibili come le (buone) lasagne o cappelletti ed il (meno buono) arrosto-mattone-che-avanza-sempre-ma-nessuno-ha-il-coraggio-di-dire-che-non-piace. E' una bellissima tradizione di cui sono molto contento, ma che ha "qualche effetto collateriale".
Quest'anno, per la prima volta, abbiamo sfondato quota 30 persone (e per fortuna molti cugini non vengono...) e metterle a tavola tutte non è logisticamente facilissimo (sia mai che a Natale si mangia in piedi!). Grazie al cielo i bimbi non stanno mai fermi (???) e quindi vagano, corrono, urlano, fanno casino e si spaccano la testa, ma tu risolvi almeno un 4-5 posti. Oggi avevo 18 persone (DICIOTTO!) a tavola in camera mia... potete immaginare il casino. E' vero che camera mia è grande (ci stavamo in 3 fratelli...), però è sempre un casino organizzare, ché vi sfido io ad avere un servizio di posate e bicchieri per oltre 30 persone con altrettante sedie: può sembrare patetico, ma gli invitati devono portarsi dietro le sedie (qualcuno anche i tavoli!!!).
Poi è bello ritrovarsi così in tanti, avere ogni anno qualche nuova presenza (ormai oltre alle mogli, arrivano anche i pargoli...), ma organizzare questo evento mobilita veramente tutta la famiglia ed è sempre un casino per la famiglia-ospite a cui tocca d'organizzare. Grazie alla numerosità della famiglia, a casa mia tutto questo caravanserraglio arriva una volta ogni tre anni. Però, proprio quest'anno ché i pargoli continuano ad aumentare (oltre al mio nipotino, c'è un'altra neo-arrivata, ché però ne compensa una assente causa febbre). Da noi è un po' come le Olimpiadi che vanno a rotazione...
Tutto questo trambusto è appena passato, senza fare manco troppi danni (certo, ho rincorso due bimbi per spiegar loro che è meglio se giocano con la palla di gomma e non con quella di cuoio, poi ho dovuto sperare che in bagno capissero che il lavandino non è da prendere a testate...).
Al termine di una giornata così ringrazio Dio che, nonostante la storia della Santissima Trinità, ci permette di considerare la nostra religione come monoteista perché io, più di un Natale all'anno, non riuscirei a farlo. Mentre penso alla disgrazia di chi ha una religione politeista, mi rincuoro sapendo che, per i prossimi 3 anni, la mia famiglia "ha dato": tant'è...
Sfatiamo la consolidata idea che Babbo Natale sia un mito laico e consumista.
Il Vescovo Nicola di Antiochia, meglio noto come San Nicola di Bari (dove il corpo fu portato per salvarlo dagli Infedeli), era noto per la sua attenzione ai bimbi orfani della sua città. Possiamo dire che fu uno dei primi a realizzare un orfanotrofio vescovile curando i bimbi della città e dando loro molti doni. Questa sua magnanimità ha attraversato i secoli (oltre un millennio e mezzo) e le nazioni (dalla Turchia alla Finlandia) diventando il leggendario Babbo Natale che noi tutti conosciamo. In inglese lo chiamano "Santa (Ni)Claus", storpiando la versione slavo-scandinava. L'abito rosso NON è uno spot della Coca Cola, ma la veste vescovile ed il cappello, se lo guardate bene, assomiglia ad una Mitra (il cappello dei vescovi) solo che afflosciata.
Questo non è una forzatura, quanto la storia. Difatti, nel Nord Europa ci si scambia i doni non il 25 Dicembre, Natale del Cristo, ma il 6 Dicembre, San Nicola appunto.
Questa è la storia di una figura molto popolare, soprattutto nel Nord e nell'Europa centro-orientale, importata in tutto il mondo, i discorsi su consumismo e superficialità del Natale li lascio ad altri...
Buon Natale!
Due frammenti di ieri sera.
1. Ripensavo a dove fossi l'11 settembre 2001. Quel pomeriggio: dopo il caffé accendere la TV e dire "mamma, è successo qualcosa di grosso". E poi, ritrovarsi con una bella ragazza a fare progetti per il futuro, in quel tavolino nel bar dietro casa mia, progetti per un futuro che non avremmo saputo prevedere. L'undicisettembreduemilaeuno. Ieri sera sono finito apposta nello stesso tavolino, ma era tutta un'altra vita.
2. Sempre ieri si commentava di questo mio (ormai vecchio) post. Si trattava di una provocazione che, per me, resta ancora valida. Diffido della poesia per la poesia, della poesia che ricerca se stessa nella realtà e, peggio di tutto, di chi si crede poeta e lo fa pesare agli altri. La poesia è la percezione del frammento di realtà che trascende la realtà, ma è dalla realtà che si parte per arrivare alla poesia, non il contrario. Mi infastidisco a sentire troppi poeti che giocano a fare i poeti alimentando atteggiamenti manieristici ed auto-celebrativi. Anzi, vado oltre: detesto l'autocompiacimento snobbistico dei poeti che pensano che basti fare dei versi per sentirsi meno colpevoli, credo infanghino la nobiltà di quello che dovrebbe essere la poesia. La poesia è troppo manieristica, vittima di clichés bohemiens. Credo che dovrebbe ritrovare l'umiltà della quotidianeità.
Quest'anno con gli amici e le amiche "storiche", quelli per cui ci si fa anche un regalo di Natale facendo le peripezie tra i bilanci della paghetta e del minimo lavoretto che ci si trova qua e là, è nata un'idea che voglio divulgare perché bellissima (grazie Fede!). Niente regali, non di quelli materiali e costosi, anche se il bilancio di ognuno inizia a diventare un po' meno stringente. Il regalo sarà il bene più prezioso che ognuno di noi ha: il tempo.
Una sera, tranquilla, a ritrovarsi e chiacchierare. Un caffé o una birretta da qualche parte e fare 2 chiacchiere, una cioccolata calda per raccontarsi sù le peripezie di una vita che, soprattutto a Milano, sembra sempre così indaffarata.
Fermarsi o, come diceva un mio carissimo prof che non c'è più, rallentare.
Ecco, mi piacerebbe riuscire a farlo non solo con loro, imparare a dedicarsi del tempo vicendevolmente anche solo in amicizia, senza volontariato o solidarietà ché quella è una cosa ben più seria e più importante. Imparare che non bisogna solo uscire in compagnia per ridere e far caciare (anche quello ci vuole, ma non solo...). Rallentare e ritrovarsi a parlare perché, in fondo, siamo persone e non solo compagni di bevute. Mi raccomando, il tutto da farsi rigorosamente di persona e, altra raccomandazione, senza l'angoscia di fare tutto prima del 25 Dicembre, se questo genere di regali arrivano anche dopo va bene lo stesso, d'altronde non siamo così fiscali... Certo, dev'essere un impegno condiviso, ma per cui ne vale la pena.
La PA, nelle sue regole di funzionamento ed organizzazione, assomiglia alla nostra vita molto più di quanto si pensi. Un'inerzia costante scossa da improvvise accellerazioni, persone che per tutta la vita sono/fanno la stessa cosa, organizzazioni sedimentate nel tempo restano con incrostazioni e cliché da cui è difficile liberarsi e quindi, al più, si creano strutture nuove ché le vecchie non le si rimette in discussione (non-volontà o incapacità o impossibilità?).
Ma due sono le cose che veramente mi ispirano queste considerazioni. La prima è che spesso facciamo apparire come decisioni cose già evidenti e consolidate, notifichiamo realtà già reali. La seconda, quella veramente sorprendente, è che spesso passa un'enormità di tempo tra una notifica e la sua realizzazione, tra la delibera e l'esecuzione. Tra il dire e il fare, la "e" può durare canonici 3+3 mesi oppure i 30 giorni "prescritti dalla legge", nel frattempo la decisione è presa e resta lì pendente, mentre in un qualche modo si va avanti come se niente fosse e poi entra in vigore ché manco te ne accorgi, ché tanto la cosa ormai è passata. E, come per la PA, una decisione di Marzo è diventata operativa a Settembre e me ne sono accorto solo ora, a Dicembre. La mettiamo tra le pratiche d'archivio.
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"I consigli comunali sono lastricati di ottime delibere mai realizzate" (il mio Prof di Scienze della PA, uno di quelli che fece le Riforme Bassanini, mica pizz'e fichi!)
Viene un momento difficile in cui, a cuore duro, si sa che lui non ce la farà più e speri che, almeno, quel qualcuno non soffra. E' successo ieri per un carissimo amico di famiglia, gravemente malato da tempo, s'è spento, nel sonno e senza soffrire.
Era uno di quegli amici di famiglia, di quelli che lo vedevi in casa sin da quando eri bimbo e sapevi che c'era ancora da prima, ché ha visto crescere te e i tuoi fratelli come fosse uno zio o qualcosa del genere, anzi quando dicevano un amico di famiglia pensavi proprio a lui. Ma non malinconia, né tristezza, piuttosto il ringraziamento per avere imparato l'incredibile valore dell'amicizia, anzi dell'Amicizia. Una vita che è stata un inno all'amicizia. Non me ne vorranno la famiglia ed i parenti, ma la testimonianza di un'incredibile valore, fondamentale per la vita. L'amicizia è sentimento spesso superficiale, soprattutto quantitativamente, ma qualitativamente diventa un bene necessario. L'amicizia può anche essere tradita, infranta, spezzata, dissoluta. E invece, in questo caso, tutta la sua vita è stato un inno bellissimo all'amicizia, all'allegria ed alla gioia di stare assieme, condividere le feste e le risate, essere vicini nei giorni belli ed ancora di più in quelli brutti. Un inno all'amicizia lungo oltre 60 anni, una Grazia per chi l'ha conosciuto, ché si renda grazie a Chi ce ne fece dono.
Scrivo tutto questo nella speranza che questa testimonianza gioiosa, questo inno ad uno dei più nobili sentimenti umani sia d'esempio, perché ci si fermi il piccolo tempo di un post a pensarci.
Dicono che sia un luogo dove si fanno grandi pensieri, dove si hanno grandi intuizioni e creatività. Io, prima di ieri sera, ne avevo avuta una sola.
Ieri sera ero sulla "tazza" di un qualche oratorio milanese perché - forse non tutti lo sanno - ma anche gli oratori hanno i cosiddetti "servizi igienici" ed ogni tanto, grazie a qualche spettacolare aperitivo a base di non-si-sa-che-cosa, capita di averne un bisogna impellente e concreto. In altre parole, senza scendere in dettagli e scurrilità, ero sulla tazza come ogni buon cristiano (piccola nota, il bagno era anche normalmente pulito per cui niente da dire).
Vabbè, mentre ero seduto avevo davanti a me, dalla finestra del bagno, uno scorcio incredibilmente suggestivo della plurisecolare Basilica a cui fa riferimento quell'oratorio, un capolavoro dell'architettura di diversi secoli, testimonianza mirabile dell'ingegno umano nell'arte delle costruzioni, segno della grande spiritualità meneghina.
Ed io lì, umilmente seduto sulla tazza di ceramica (idrosanitari, li chiamano...). Sono rimasto sorpreso da questa contrapposizione, ma non in soggezione. In fondo, gli uomini che hanno fatto quella Chiesa, sia in senso edile sia in senso più spirituale, anche loro avranno dovuto svolgere azioni scurrili ed effimere come la mia.
Questo mio discorso può sembrare surreale e delirante, ma questa contrapposizione serve per dire una cosa sola: l'eredità storica, soprattutto quella monumentale, è (quasi) esclusivamente legata al trasferimento di ciò che vale la pena lasciare in eredità. Certo, sono arrivate fino a noi alcune latrine romane (ed altre ancora più antiche) e Piero Manzoni che... ha fatto quel che ha fatto. Però è bene ricordare questo passaggio, è bene aver presente anche le contraddizioni che ci sono sia contenutistiche sia di orizzonti cronologici.
Credo ci sia una certa grandezza in tutto questo, o forse no.
In Italia se fai qualcosa, una qualunque cosa, hai una piccola minoranza che ti loda perché finalmente qualcuno fa qualcosa (ma non ti aiuta, sia mai!) ed una stragrande maggioranza che ti critica e condanna perché
- stai facendo nel modo sbagliato,
- lo fai solo per altri interessi,
- stai pestando i piedi a qualcuno,
- non li hai coinvolti prima,
- non sei in grado di coinvolgere tutti,
- sei autoreferenziale,
- sei presuntuoso,
- sei saccente,
- avresti dovuto fare meglio,
- hai sbagliato tempi, modi, luoghi,
- ...
Mi chiedo perché non mi sia ancora passata la voglia di fare quel qualcosa...
Sarò molto brutale e diretto, saltando i convenevoli.
E' alcuni giorni che sento un certo mal di gola, avendo studiato un minimo di epidemiologia urbana so che sono i sintomi dello smog. Sono andato sul sito dell'Arpa Lombardia (www.arpalombardia.it, non è difficile...) e scopro che
1. delle 8 centraline disposte a Milano, solo due rilevano il Pm 10 (le altre "a fatica" rilevano il Monossido di Carbonio...) ed una sola il Pm 2,5 (queste sono le due sostanze più nocive e sicuramente cancerogene... che se non è chiaro, significa che ti fanno venire il tumore e si muore!).
2. delle due che rilevano il Pm 10, una (quella di via Verziere) ha rilevato solo 3 degli ultimi 7 giorni, l'altra funziona correttamente (quella di Città Studi, dove lavoro).
3. Sia la centralina di via Verziere, sia soprattutto quella Città Studi rilevano che siamo ben oltre il limite massimo consentito (50 microgrammi per metrocubo) e viaggiamo tra gli 80 ed i 100.
4. Tra Como e Varese (con le relative province s'intende) la situazione non va meglio.
5. Mi sono informato sulle centraline di Milano (in generale quelle della Lombardia) ed ho scoperto che sono note per sottostimare questi valori (dati UE e OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità), ma comunque questi dati restano allarmanti.
6. Tutto questo nonostante il blocco dei camion abbia lasciato molti a secco di benzina, figuriamoci se non ci fosse stato!
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Visto questo oggi, ho guardato come è andata in passato e
a. negli anni passati si discuteva se fare il blocco delle auto, le targhe alterne (ricordate?) e, dal 2002 al 2006, il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha detto che i dati non sono allarmanti e che è sbagliato bloccare il traffico perché si danneggerebbe lo shopping natalizio (così è se vi pare! verificate la rassegna stampa se non ci credete... dichiara in maniera trasparente che preferisce gli affari alla salute).
b. In media a Milano siamo al doppio della soglia massima consentita di Pm 10 (max 50, noi in media siamo a oltre 100), e solo questo provoca in media 1,5 anni in meno di vita (dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità). Qualora non sia chiaro: il tumore è la prima causa di morte a Milano e Lombardia e questo inquinamento è la prima causa.
c. Nessuno dice niente.
C'è un'istituzione, la Regione Lombardia, che dovrebbe intervenire (e lo sa), ma non fa niente (da 10 anni!). Si dica chiaramente che Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, preferisce lo shopping natalizio alla vita dei Lombardi (negli anni passati andava sui giornali e lo diceva chiaramente, non sto facendo dietrologie, ora ormai è assodato e scontat).
d. questo post lo scrivo solo perché siamo lontani dalle elezioni e non posso essere tacciato di propaganda elettorale, anche perché l'opposizione tace (tra cui il Ministro dell'Ambiente, però lui è a Bali a discutere a livello mondiale di questi problemi, quindi è parzialmente giustificato, ma solo parzialmente s'intende...).
Che altro dire? Buono shopping a tutti, se sopravvivete...
In questi giorni lo smog a Milano è insopportabile: polmoni pesanti, raschio in gola costante e retrosenso di nausea fisso. Essendo tutti sintomi deboli ed avendo un minimo studiato epidemiologia urbana (e conoscendo Milano) ho la ragionevole certezza che questi disagi (malori sarebbe troppo) sono legati allo smog.
Sto leggendo Offeddu e Sansa, Milano da Morire, ora so anche il perché di questi malori: 15 anni a truccare i dati (dal 2003 al 2005 Milano ha continuato ad usare stazioni di rilevamento dichiarate inattendibili dall'UE nel 1999...), non diffondere le informazioni giuste ("nessun allarmismo - ripete Formigoni - non c'è nessuna crisi in atto", infatti sono 15 anni che la situazione peggiora anno dopo anno mentre non si fa niente) e, soprattutto, non decidere. Perché l'ecopass non servirà a niente, troppo blando per i risultati che si vorrebbero ottenere e, soprattutto, continuano a mancare metropolitane e parchi. La critica è chi governa Milano da 15 anni, non si dica che non c'è stato tempo, qui non c'è stata la volontà di preservare la nostra salute...
Povero Filippo...
Partiamo dal ponte di Sant'Ambrogio. Annecy, piccolo capolavoro dell'uomo, è una vera e propria perla delle Alpi. Guadagnatasi l'appellativo di Venezia delle Alpi, il capoluogo dell'Haute-Savoye e patria del fondatore dei Salesiani è una tappa da vedere per chiunque si aggiri da quelle parti. Sulle Alpi è raro trovare città così belle e ben tenute, per quel che ho visto io non ha pari nella sua pur frugale e spartana eleganza franco-alpina. Non grandi monumenti, ma una splendida cornice nel centro storico.
E poi Lyon, città sospesa tra due fiumi diretti a Sud, Lyon è probabilmente la città mediterraneo-latina meno mediterranea che si possa immaginare (ma non meno latina), ancora meno di Milano. Lyon mi piace per il suo essere poco considerata, sottostimata eppur strabiliante, eccitante nonostante sia francese (frecciatina!), è industriale e colta, artistica e laboriosa. Non nasconde i difetti né il maquillage che indossa per farsi bella, ma senza mai esagerare: i francesi sanno l'equilibrio a differenza degli italiani.
Lyon e la festa delle luci, mai vidi spettacolo più incredibile. Ti rendi conto della gioia della luce plasmata dall'uomo, delle sue mille sfaccettature e di come sappia disegnare l'ambiente attorno a te in forme sempre nuove ed emozionanti. E poi Fourvyere (o come diavolo si scrive!) che domina la Presqu'Ile e sotto la Cathedrale de St-Jean e poi le Rhone et la Saone che scorrono paralleli e poi Vieux Lyon e la rovina di quel matitone stabilo a Part Dieu e poi questa volta ho scoperto pure il teatro gallo-romano...
Una nota doverosa: merci à Laetitia che mi (ci) ha ospitato con garbo e stile tutto francese: dopo avermi detto "ciao", mi ha dato le chiavi di casa dicendo di organizzarmi come ero più comodo... non so quanti italiani darebbero così le chiavi di casa a qualcuno che non vedevano da 3-4 anni... Incredibile ma vero, a Lyon uscivo con una stragrande maggioranza di urbanistes, cosa che a Milano è praticamente impossibile, a Milano restiamo dispersi e separati seppur in contatto tra di noi, a Milano sono sempre in mezzo ad ingegneri (e psicologi).
"Divertente" il viaggio di rientro: persi per le periferie di Lyon, sotto il nubifragio in Savoie, tempesta di neve al Monte Bianco, code verso Torino e nebbione padano... 8h al volante così non si dimenticano facilmente...
E poi... Beh, poi c'è Filippo... Grazie ai tantissimi che mi/gli hanno dimostrato affetto, il giovane fagottino che oggi ha fatto la prima poppata! E fa un effetto vedere quello che fino a ieri era il tuo papà che, d'un tratto, regge in braccio il suo status di nonno. E le donne che si prodigano attorno alla neo-mamma e lui, piccolo, che beato dorme, dorme in attesa di crescere... Dorme ché non gli riesce ancora di piangere da quanto è piccolo: urla urla e poi smette, ché in fondo non ha ancora veramente fame. E poi, la cognatina di ieri, oggi mamma ed il fratello mio che si fa di lui papà... E va bene che è il primo ché dicono che resta un po' viziato, ma in fondo va bene così. "E' cavità di donna che crea il mondo". Filippo sta lì calmo, dorme con un'orecchia più piccola del mio polpastrello.
Ecco, questi due frammenti raccontano di viaggi, così diversi tra loro eppure cronologicamente temporanei. Silenzio, pausa, preghiera. E poi credo possa bastare, ché di questi tempi a Milano c'è una città piena di cose da fare. Il Natale è un pretesto per organizzare mille ritrovi in continuazione ché ormai ho tutte (o quasi) le sere piene. Sembra quasi un mestiere avere una vita sociale... Va bene così, volevo scrivere del discorso del Cardinale per S. Ambrogio, ma non mi riesce, la stanchezza un po' prevale e credo che per oggi possa bastare così - mi accorgo di scrivere con uno stile diverso dal mio solito - e quando si viaggia un po' è giustificato, un po' incentiva a resistere, tenere duro ché dopo le Alpi si trova Lyon...
Cliccate qui. Un video da vedere, qualcosa di incredibilmente attuale. Grazie Anna, presto continueremo l'alta discussione lasciata a metà.
Read more...L'avevo annunciato in tanti post, dicendo semplicemente che qualche novità sarebbe arrivata.
Ora, dopo quelle che mi riguardavano è finalmente arrivata la novità più importante e più bella di tutte: sabato mattina è nato Filippo!!!!
Il mio primo nipotino che ho visto stasera per la prima volta, tenero lì che dormiva di fianco alla sua mamma ed il suo papà che ha già voglia di giocare con lui. Il ragazzotto sta bene e pesa già parecchio (3 kg), la mamma è un po' affaticata ma d'altronde è normale.
E quindi, ecco comparire un fiocco azzurro per Filippo.
:-)
La notizia più importate la potete leggere cliccando qui, ma su questo ci tornerò in maniera più adeguata.
Domani parto per Lyon città che - chi mi conosce lo sa - mi ha fatto innamorare perdutamente. Poetica, scientifica e tecnologica, Lyon giace all'intersezione dei due fiumi. Città governata nella migliore delle accezioni possibili, prescindendo dalle partigianerie gollisti vs socialisti (che pure ci sono).
Riferendomi al mio precedente post, pensavo oggi al concetto di "sogni", anelito umano e motore fondamentale della nostra intrinseca umanità. Sogni ed ideali sono le due componenti che rendono umano l'uomo, ridotto altrimenti ad animale da riproduzione, ché manco la soma gli sarebbe degna. Il peggior crimine è l'uccisione dei sogni, ancora più che degli ideali, ché l'uomo sa farsene una ragione, ma non un sentimento.
Chi ha ucciso i nostri sogni stimola in Noi, o meglio in ogni Io, un'annichilimento della nostra umanità ché rende poi difficile guardarlo in faccia come un altro essere umano.
I sogni sono la parte più pragmatica dei sentimenti, sono la parte realizzabile. Commetto una confusione semantica di cui sono consapevole, ma al cuore questo poco importa, non stiamo parlando di ideali.
Il Perdono Cristiano difficilmente si concilia con chi ha ucciso i nostri sogni, già di più con i nostri ideali. Quel Perdono è la più grande sfida dell'uomo, riconoscere l'umanità anche laddove è più difficile.
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PS
Questo post non è uscito come l'avevo in testa, ma mi sta bene così. Domani parto, tant'è...
In attesa, mi sono lasciato imbrigliare da questo post. Si parla del senso di un blog, su cui personalmente avevo già scritto qui, ma su cui vale la pena tornare. C'è un interessante incrocio di citazioni che parte da qui in quanto quel blog è stato citato qui.
Ok, se non vi siete persi tra quei blog, capirete un piccolo grande aspetto di questo fenomeno sociale chiamato web 2.0.
Scrivere, condividere pensieri è un piccolo passo di libertà, quella vera concreta e del pensiero. Libertà è partecipazione e scrivere ti rende un poco più partecipe del mondo esterno o perché lo commenti o perché gli regali dei pensieri, delle emozioni, dei frammenti di vita che per te sono importanti, ma lo sono anche per coloro che hanno la pazienza di fermarsi e leggere. Leggere è, quello sì, un valore. Certo, non tutto lo scritto vale lo stesso, alcune cose proprio non vale la pena di leggerle.
Scrivere è una forma di libertà ed alla libertà bisogna educarsi, praticandola piano piano con umilità, applicandosi ed imparando da chi è più bravo, sostenendosi tra compagni di educazione e rendendosi disponibile verso chi è più giovane. "La libertà è una forma di disciplina", occorre educarsi ed assumersi il coraggio di scrivere e rendere pubblico quello che si fa: penso e visito spesso sempre questo blog, l'attuale silenzio di quel blog insegna l'umiltà di non pensare che un blog possa essere una cosa veramente importante, però è un esercizio di libertà.
E non ci si limiti ad un tant'è...
Di questi tempi a Milano abbiamo tutti una marea di cose da fare, quasi più del solito. Di questi tempi a Milano tutti hanno voglia di rivedersi perché "almeno per Natale...". Di questi tempi a Milano vedi la differenza tra milanesi e non perché solo i primi sono presi in un turbinio di ritrovi natalizi, mentre i secondi sono presi dalla smania di tornare alle rispettive case per farsi prendere dal loro turbinio, rigorosamente non-milanese, forse anche un po' anti-milanese perché "giù da me sì che si festeggia il Natale...". Di questi tempi a Milano è un gran caos, traffico e smog la rendono insopportabile, oltre al solito buonismo natalizio condito da commercializzazione e anti-commercializzazione dei sentimenti. Di questi tempi a Milano ci si dimentica che Babbo Natale è San Nicola. Di questi tempi a Milano si aspetta la prima della Scala, ma si dovrebbe aspettare soprattutto il discorso dell'Arcivescovo Cardinale. Di questi tempi a Milano manca sempre qualcuno. Di questi tempi a Milano rincorri il regalo perché "conta il pensiero", ma sempre di questi tempi la cosa più bella sarebbe dedicarsi l'un l'altro del tempo.
Già, il tempo... il tempo è la risorsa più bella da condividere con gli amici, quelli importanti: un caffé, una birra, un pranzo assieme ché mangiare è un'occasione bellissima per stare assieme.
Ma di questi tempi, il tempo è una risorsa quantomai scarsa, non solo a Milano...
Non che si debba avere una scadenza per scrivere su un blog (oltretutto se questo è auto-celebrativo), ma nella nuova veste il tempo è ridotto e minore anche la voglia di stare al PC oltre l'ufficio. Oltretutto, in questa stagione sembra che tutti abbiano voglia di rivedersi e quindi non sono mai manco a casa.
tant'è...
Ho letto questa critica di Scalfari alla nuova Enciclica di Benedetto XVI (ringrazio Carlop per aver "costretto", in senso buono s'intende, a fermarmi e riflettere).
Generalmente apprezzo Scalfari per le sue analisi politiche ed ancor di più apprezzo gli atei non-credenti che prestano attenzione e riflettono sulla Chiesa, trovo tuttavia quell'articolo vuoto ed un po' scomposto rispetto allo stile della firma. E' una critica che non propone, che probabilmente legge difetti più in funzione di altri fatti non ricompresi nell'Enciclica. Trovo la critica di Scalfari scomposta, disordinata, generica. Un esempio su tutti: Scalfari confonde l'Illuminismo politico con quello teo-filosofico, è chiaro che il Papa attaccasse il secondo, mentre Scalfari dice che se in politica ha fatto bene allora anche dal punto di vista religioso l'Illuminismo ha fatto bene. No, non c'è nessuna sequenzialità ed io sono d'accordissimo nel ritenere l'Illuminismo un pensiero in fase irrimediabilmente decadente [magari su questo tornerò].
In sintesi, trovo le critiche di Scalfari inconsistenti dal punto di vista teologico/filosofico ed elude gli aspetti sociali più rilevanti.
Io auspico fortemente una maggiore apertura della Chiesa verso i non-Credenti e non condivido alcuni orientamenti recenti (su tutti, segnalo questo mio post). In generale, credo che la Chiesa debba smetterla con la paura del "panico da accerchiamento".
Art. 4 - La Repubblica Italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.
Mi piace partire dalla nostra Costituzione, mi piace partire dall'articolo più caro a Danilo Dolci, grande padre della patria un po' troppo dimenticato, mi piace usare la Costituzione per commentare la mia vita, me la fa sentire un po' più mia (ogni tanto, a me mi piace usare qualche lombardismo...).
Al fine, l'esame di cui parlai tempo fa (1 e 2) è andato bene nonostante un po' di peripezie: scritto maluccio (16esimo su 20), ma miracoloso recupero all'orale (se si guarda solo l'orale sono il primo, con la somma dei due sono nono). E quindi che dottorato sia! [Per chi non fosse pratico, conta soprattutto la posizione in graduatoria per avere la borsa ed essendocene 12 sono riuscito ad entrare con borsa, mentre dopo la I prova ero fuori].
Per chi meno mi conosce, io ho sempre fatto assai confusione con le istituzioni accademiche, o forse il Poli continua a sbagliare etichette: dopo aver studiato Planning in una Facoltà di Architettura, ora studierò Economia in un Dipartimento di Ingegneria (oltre ad essere stato rappresentante degli studenti a tratti anche per Designer ed Ing. Edili/Architetti).
Forse anche per questo sono così convinto di quello che dice Morin che è necessaria una radicale ridefinizione delle discipline.
Negli ultimi giorni sono stato impegnato in un po' di vicende pratiche: chiudere il vecchio lavoro (ci sono quasi), iniziare ad insediarmi nel nuovo ufficio dove, per la prima volta, ho una mia scrivania, un mio telefono, la casella di posta ufficiale e - volendo - anche un PC (ma uso il mio portatile che è più potente). Fortunato con i compagni di stanza (almeno, il primo impatto è positivo), ora dovrò mettere anche il nome fuori dalla porta (si va in ordine alfabetico o in ordine gerarchico? Mah...) e piano piano insediarmi.
Comincia una nuova fase, se prima dovevo dire "non sono arch", ora dovrò abituarmi a dire "non sono ing". Sia chiaro che non lo faccio per antipatia o quant'altro, semplicemente per rispetto verso chi ha studiato e studia quelle cose. Tant'è...
Tecnicamente, la mia disciplina si chiama economia urbana e regionale o economia territoriale (è la stessa roba, per il ministero rientrano nel settore delle "economie applicate" assieme alle economie industriali...) e sto iniziando ad occuparmi di valutazione di impatto territoriale. I corsi iniziano da Gennaio, ma intanto mi porto avanti.
E quindi si parte, via così e chi vivrà vedrà. Ripenso alla laurea e al diploma, al vecchio blog e di quando finì e di quando iniziò, di quando iniziai questo e di quando andai e tornai da Bolzano. Per il resto, manca ancora una sola delle novità attese a giorni (di quelle grandi novità, s'intende), vi farò sapere a tempo debito...
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